Sembra strano vedere le povere big italiane sottoposte a questo strambo caso di umiliazione. Sembra strano, e tanto, constatare che è ormai solo e soltanto all’estero che si può pensare di costruire una squadra che possa dirsi competitiva, che si può pensare dunque di salire, magari, sul tetto del mondo passando per quello d’Europa. L’Italia sta soffrendo, economicamente, e di questo ce ne stiamo accorgendo tutti nel nostro piccolo, nel quotidiano; ce ne stiamo accorgendo noi comuni mortali, dunque, ma anche quelli che una volta si chiamavano i “paperoni del calcio”.
Paperoni che adesso ancora esistono, sì, ma parlano arabo. O tutt’al più russo; neanche americano. Vedere la Roma per esempio, che nonostante, certo, abbia una proprietà ambiziosa, al contrario degli sceicchi di Parigi o dei magnate russi di Londra non può permettersi di spendere cifre astronomiche per l’ingaggio di qualche fuoriclasse, uno qualsiasi, neanche di quelli magari più costosi. Con la conseguenza che allora arrivano a rinforzare la rosa i vari Tachtsidids, Bradley, Marquinho (con tutto il rispetto per loro, ci mancherebbe), giocatori “alla Zeman”, sicuramente, ma non di un altro pianeta. Non di quelli che, da soli, ti fanno la differenza.
Questi ultimi se ne volano all’estero, vedere Thiago Silva, vedere Ibrahimovic, vedere Verratti – che è giovane, sì, ma diventerà fuoriclasse ammirando le sue doti. In Italia dobbiamo accontentarci dei campioncini, e non possiamo fare altro; con la Juventus unica regina del mercato, l’unica che ha voluto, e che ha potuto finora, spendere qualche milione in più, e assicurarsi ottimi giocatori quali Asamoah e Isla.
Il Belpaese, dunque, come detto sta soffrendo. Nel calcio non girano più tanti soldi, e l’impressione è che la situazione non si risolverà a breve. A dirla tutta, però, sotto sotto è anche meglio così: perché nell’era della crisi, nell’epoca in cui si fa fatica ad arrivare a fine mese, è anche opportuno, per dignità sportiva e “umana”, che anche il calcio ne risenta, e limiti un po’ la sua storica manìa di far spendere e spandere. Meno soldi, meno campioni dunque; meno campioni, meno competitività. Ma non meno agonismo; quello, se c’è il cuore che spinge i muscoli sul terreno di gioco, rimane, e magari può ancora farci divertire.