È estate, e secondo alcuni il calcio è in “bassa stagione”: sì, c’è il mercato, ci sono i ritiri precampionato, poi ci saranno le amichevoli… ma non è proprio la stessa cosa.
Poche cose sono sicure. (Più che una frase dovuta al calciomercato, direi piuttosto che è una metafora della vita.) La prima è che i soldi girano al largo rispetto alla penisola italiana: paura di naufragare come una crociera Costa, perché il calciomercato costa, appunto. E noi, nell’ultimo decennio, abbiamo sempre fatto nozze coi fichi secchi, al punto che Zlatan Ibrahimović (campione in campionato, decisamente meno di fuori) può fare ironia senza problemi e Raiola (sempre lui) dichiara che Hamsik deve andare via da Napoli. Per gradire.
Perché il punto è anche questo: i ricconi del calcio vengono a fare la spesa da noi, ma non certo a comprarsi una squadra. È finito il tempo dei ricchi scemi, a sceicchi ed emiri piace spendere e divertirsi, ma non lo fanno mai a vuoto. E in un Paese come il nostro pieno di incertezze sulle regole, le amnistie, i condoni e quant’altro, come si fa a programmare un investimento multimilionario? E poi, vogliamo dircelo: se non siamo capaci noi italiani di programmare i nostri investimenti, perché mai dovrebbe venire qualcuno da fuori, e farsi tutto il lavoro solo contro tutti? Potremmo fare mille esempi di mancata programmazione; scegliendone uno solo, diciamo della Fiorentina, che affida a Montella una squadra largamente incompleta e frutto dell’improvvisazione.
Che poi, mi faceva notare Alessandro Pironti, ci sarebbero anche bei segnali per questa estate italiana: tralasciando di parlare ancora della Nazionale, finalmente alcuni giovani italiani si affacciano al mercato da assoluti protagonisti (facile individuarli: la nidiata del Pescara). Immobile e Insegne, poi Verratti al Paris Saint-Germain… oddio, di sentire questa squadra (guidata da un italiano e mezzo: Ancelotti in panca, Leonardo a dirigere) ne ho veramente a noia.
Ma anche questo, a ben guardare, è un dato che possiamo prendere positivamente: se vengono a depredarci, significa che la fabbrica di calciatori (e di allenatori e dirigenti, anche), qui, tanto male non dev’essere. Ci siamo specializzati troppo sui semilavorati (stranieri giovani da lanciare), ma, dicevo poche righe sopra, ci sono segnali favorevoli a un’inversione di tendenza.
E poi, pensiamoci bene: il PSG è diventato una specie di All Star Team delle ultimissime stagioni di Serie A: può farci pubblicità, e di sicuro, soprattutto, non falserà il campionato italiano così come succede in quello francese. Ancora: più cediamo all’estero, e meno avremo problemi di fair play finanziario, quando finalmente entrerà a pieno regime (e finché durerà). No, lo so, questa è stiracchiata.
È che forse dobbiamo arrenderci a un fatto: che non abbiamo più il campionato più competitivo del mondo, né quello più bello. Abbiamo il più saccheggiato. E la colpa è dei proprietari che non programmano, e dei tifosi che non li aiutano a farlo (contestazioni alla prima sconfitta, pretese di potere smodate). E chi è senza peccato scagli la prima pallonata.