Spendi, spandi, effendi…
Giusto così. Siamo un paese in piena crisi economica, vessati da tasse, senza posti di lavoro fisso, coi giovani perennemente bloccati in casa dei genitori o in fuga all’estero e gli anziani che faticano ad arrivare a fine mese grazie a pensioni sempre più misere. Il calcio si adegui, chi può spendere spenda: non è e non può esser una colpa poterselo permettere.
E non può e non deve nemmeno essere una colpa accettare simili ingaggi, scegliere di andare da chi offre di più sia in termini economici che di competitività, di possibili successi. Guadagnano tanto i calciatori, concetto sacrosanto. Ma se c’è chi è disposto a riempirgli le tasche, a innaffiarli di denaro e, allo stesso tempo, mettere al loro fianco altri campioni, farli assistere, allenare e curare dai migliori nel loro campo, perchè dovrebbero rifiutare? Attaccamento alla maglia? Ai tifosi? Alla società?
Forse. Forse perchè, come dimostra il recente caso di Julio Cesar, quelle stesse società fanno poi lo stesso gioco, seguono gli stessi interessi, lo stesso dio denaro, e non ci mettono poi molto – un mese o poco più – a scaricarti dall’oggi al domani, pure se hai un contratto firmato, pure se per quella maglia hai dato tutto, regalando successi, gioie, trofei. “Non servi più, la porta (di uscita) è quella, arrivederci”: questo il messaggio recapitato al portiere interista.
Thiago Silva e Ibrahimovic al Milan non sarebbero morti di fame, avrebbero continuato a ingrassare il conto in banca, ad avere specialisti affianco che – vedere il caso Cassano – in caso di problemi di salute possono fare la differenza tra l’attesa di un’ambulanza e l’intervento immediato, tra il continuare la tua vita agonistica e il dire addio a questa esistenza. Anche qui, concetto sacrostanto. Ma in campo, lì sì, la differenza l’avrebbero sentita: se da un lato c’è infatti un Milan in piena ricostruzione, che vende per coprire il bilancio, con un presidente pressoché assente, saturo e stanco del suo giocattolino e di spendere per esso, dall’altra c’è un Paris Saint Germain in rampa di lancio, pronto a investire, spendere e spandere per tornare a vincere in Francia e, soprattutto, in Europa, grazie alle spropositate ricchezze del suo ultimo proprietario, un altro degli sceicchi con la passione per il calcio. “Spendi, spandi, spandi, spendi, effendi” ripeteva il compianto Rino Gaetano 35 anni fa: altro che non-sense, il buon Rino cantava al presente parlando al futuro.
Quindi giusto così: il calcio italiano si adegui alla situazione di crisi che viviamo, alla precarietà, alla ristrettezza economica. Benvengano i tetti salariali, lo spopolamento all’estero di campioni, la riduzione del numero di fuoriclasse che calcano i nostri campi. Il calcio è uno sport bellissimo pure se a praticarlo sono dei ragazzini sul cortile di casa, pure se i ritmi si abbassano e gli errori aumentano. Se andare avanti non è possibile non si deve temere di tornare indietro, di rivivere un calcio meno ricco ma più amato, più umano, più romantico. Al diavolo la competitività in Europa, valorizziamo il nostro calcio, le nostre competizioni, i nostri trofei.
Meno introiti per i diritti tv ma abbonamenti per vedere il calcio più accessibili, prezzi più bassi allo stadio o per gadget e maglie ufficiali ma meno “campioni” a cui far indossare quella maglia. Che si metta in Italia quel fair play finanziaro di cui Platini tanto parla ma che, allo stesso tempo, tanto procrastina, chiudendo entrambi gli occhi su sponsorizzazioni farlocche che ne aggirano i meccanismi e lo spirito reale. Una pugnalata al business del calcio moderno? Probabile. Un volo pindarico di un inguaribile romantico e sognatore? Sicuro.
E allora… Spendi, spandi, spandi, spendi, effendi…
(Grazie Rino.)