Un’altra volta: l’offerta che non si poteva o che non si voleva rifiutare. Italiani, mi duole dirlo ma, ormai, possiamo solo guardare. Al di là di richiami cinematografici, quello che hanno messo in evidenza le cessioni di Ibrahimovic e Thiago Silva è che il calcio non è mai stato come in questo momento una questione di soldi, di business, di avidità e di ‘spiccioli’ giochetti di signorotti venuti da chissà dove per impadronirsi di una passione con lo scintillare della moneta.
Il calcio come sport è ormai bello che andato: da quanti anni continuiamo tutti a lamentarci che gli stipendi dei nostri idoli sono spropositati? Da quanto tempo possiamo affermare senza alcun dubbio che un nostro beniamino veste la nostra maglia solo per amore e professionalità? Io nemmeno me lo ricordo. Purtroppo è così: quella palla che rotola è la terza industria del paese, rappresenta un giro di miliardi e miliardi di euro. Ma quel che è peggio è che questo andamento non accenna a diminuire la sua velocità: e se poi arrivano anche gli sceicchi…davvero sembra proprio che non possiamo uscirne più. Forse in Italia viviamo solo di passato, troppo di storia e poco di futuro, forse siamo troppo romantici e troppo ingenui per accorgerci che quel che conta ormai è il potere del denaro, al di là della competenza.
Guardare questi club comprati da signori le cui ricchezze son talmente estese che nessuno sa se siano davvero limitate è davvero una frustrazione. E nemmeno l’onnipotente patron del Milan Silvio Berlusconi, nonostante il teatrale ‘no’ al Paris-Saint Germain in occasione del primo assalto a Thiago Silva, ha potuto nulla. L’Italia è povera, di soldi, di campioni, di idee. Seguire l’esempio della Juventus è diventato un obbligo: la legge sugli stadi approvata di recente è un ottimo viatico per tentare di rialzare la testa e tornare grandi fra i grandi. Perché in un calcio dominato dal denaro l’unica cosa che si può fare, se si vuol trionfare, è adeguarsi. Avere stadi moderni, di proprietà e una nuova mentalità che parta da lontano, dalla fonte, è l’unico modo per ripartire. Altrimenti il labirinto in cui Mansour e compagnia ci hanno cacciato diventerà impossibile da affrontare.
Con l’addio milionario di Thiago Silva e Ibrahimovic (non che ai due dispiaccia più di tanto, in verità) è il capolinea del nostro calcio: i due campioni più in auge, le due stelle più splendenti ci hanno beatamente e allegramente salutato e sono andati altrettanto felicemente a guadagnare l’impossibile dove ciò è possibile. La nostra Serie A non è mai stata tanto priva di fuoriclasse e questi giorni sembrano per noi tanto un giogo sotto cui passare per poter riacciuffare l’orgoglio. Sembra, è la nostra resa. Rendiamoci conto che il tempo del romanticismo, della mentalità obsoleta, di un movimento controcorrente è finito.
Ibrahimovic e Thiago Silva è come se avessero detto: svegliatevi, che da qui se ne scappan tutti. Il tempo della resa deve finire: torniamo grandi, con la competenza e con qualche milione in più, in barba a Mansour e compagnia.