Claudio Cesare Prandelli ha fatto un capolavoro, c’è poco da aggiungere. Anzi: un doppio capolavoro. Perché ha preso una squadra ridotta in cenere (non c’è bisogno che vi ricordi com’è andata in Sudafrica) e l’ha portata alla finale continentale; e perché nell’ultimo mese è passato dal punto più basso (Zurigo, contro la Russia) alla finale. E tutto questo senza lasciare indietro nessuno, senza seminare scorie, e basandosi sul recupero degli epurati di Lippi (facile elencarli: Balotelli, Cassano, in ordine alfabetico).
Mentre scrivo è notte, e ancora si sente qualche carosello di tifosi: non abito in una grande città, siamo solo 100.000 persone, eppure i clacson aiutano a rimanere svegli (cosa più difficile dopo avere visto una partita della Spagna). Prandelli e i suoi ragazzi non sono degli eroi: mi piace pensare che un eroe sia qualcuno che salva una vita, che compie un’azione fuori dal comune per l’utilità comune. I nostri ragazzi sono stati semplicemente bravissimi, in una competizione nella quale non conta essere i più bravi in assoluto: basta esserlo in quel mese.
Bravi a crederci dal primo minuto, e fortunati in qualche circostanza, anche ma la fortuna bisogna essere pronti a sfruttarla, altrimenti non serve a nulla. Ne sanno qualcosa Marchisio (due volte) e Di Natale, che nei minuti finali si sono presentati con un attimo di ritardo all’appuntamento col gol: sarebbe stato il 3 a 0, e avrebbe chiuso ogni contesa. Lasciando Buffon più sereno, al termine dei novanta minuti.
È un’Italia cresciuta moltissimo, nel segno di Prandelli: un codice etico a far da bussola (con qualche eccezione); l’idea di giocare un calcio propositivo, che si è visto sempre di più nelle ultime tre partite; il sorriso sempre presente per tutti, quello che il nostro CT richiede ai suoi e anche ai giornalisti, ricordando che sempre di un gioco si tratta; la sensibilità nazionale, quella stessa che porta i nostri azzurri a visitare le zone terremotate.
E ancora: un CT mai supponente (ci eravamo abituati male…), sempre disponibile al dialogo senza necessariamente essere prono di fronte agli altri (autorevole senza essere autoritario); la capacità di giocare un determinato calcio anche senza tutti gli interpreti migliori, con Giuseppe Rossi fuori dai giochi ancora per molti mesi; la forza di riuscire a dare il massimo anche incerottati, con un De Rossi encomiabile (un dito rotto, la sciatalgia, una infiltrazione e via), un Barzagli che è valso la pena di aspettare fino a oggi, e lo stesso vale per Cassano, e per Balotelli (carota e bastone: tenuto fuori dagli 11 contro l’Irlanda, così da esplodere); e un progetto iniziale spalmato su quattro anni, quindi più che lento per le nostre abitudini, e che invece è già passato all’incasso.
Parliamoci chiaro: ieri è stata una partita vera, che l’Italia non ha dominato: ha vinto con merito, contro un’avversaria pericolosa, che si è dovuta scontrare con una difesa arcigna e dura, che chiudeva le linee di passaggio e con diligenza andava a sporcare ogni pallone. In altre parole: senza un po’ di fortuna iniziale, avremmo potuto assistere a un’altra partita. Poi Cassano si è bevuto due tedeschi, ha servito in mezzo e oplà. E ora, beccatevi pure ‘sto spread.
Sullo sfondo di questa euforia si staglia Scommessopoli; ma mentre Lippi faceva di Calciopoli lo scudo con cui difendere i suoi, Prandelli si è concentrato solo sul lavoro, facendosi capo in testa e scudo egli stesso. Determinato, quasi “cieco” a ogni richiamo. E sempre col sorriso. Cosa che, in linea di principio, ci permetterebbe di chiedere che non ci sia nessuna giustizia esemplare (un controsenso, un ossimoro), ma anche nessuna amnistia, a prescindere dal risultato della finale.
Già, perché dopodomani sera c’è la partita più attesa, quella che è senza domani in ogni caso. E c’è di nuovo la Spagna: avremo un modulo diverso, interpreti diversi (è rientrato Chiellini, è uscito Giaccherini, si è fatto largo Diamanti più che Giovinco, e così via), eppure saremo sempre in emergenza, tra infortuni vecchi e nuovi (Chiellini e De Rossi sono stati rimessi in campo efficacemente, ieri, ma non sappiamo quanto il primo ne abbia risentito). Fino a oggi, sinceramente, partire svantaggiati ci ha aiutato.
E poi, c’è da ricordare che le furie rosse non sono riuscite a piegare un’Italia incerottata fisicamente e anche nella testa, visto l’ultimo test quantomai inquietante. E, come se non bastasse, dobbiamo ringraziare noi stessi per la nostra caparietà, e anche proprio la serietà dei nostri avversari, nella partita conclusiva del girone, se saremo lì a giocarci, l’una contro l’altra, la finale di questo campionato Europeo. Una stretta di mano a centrocampo, e chi vince è campione per i prossimi quattro anni. I tedeschi temevano Pirlo, adesso abbiate paura di Balotelli.