Questa è la storia di un bisnipote di uno schiavo, un ragazzo che ha potuto guadagnare soldi, visibilità e quant’altro, ma lo ha fatto senza mai prevaricare gli altri, senza far sparlare di sé, e (quasi sempre) senza strascichi. Parliamo di Clarence Seedorf, che dopo 13 stagioni consecutive potrebbe lasciare l’Italia (il Botafogo sarebbe a un passo), e che in ogni caso lascerà il Milan dopo dieci anni, una Coppa Italia, due scudetti, due Supercoppe italiane, due Champions League (ma ben 4 in carriera, con 3 squadre diverse: record), due supercoppe europee e un mondiale per club. Scusate se è poco.
Padre procuratore, cugino (Stefano) calciatore, tre fratelli (il più famoso è Chedric) ancora nello stesso sport, il calcio è stata la grande occasione per tutta la famiglia. Quando arriva alla Sampdoria, nel 1995, lo fa come un centrocampista promettente e apparentemente completo (fisico e tecnica): gli basterà una sola stagione per guadagnarsi una camiseta blanca del Real Madrid (voluto da un certo Fabio Capello: sempre esigentissimo nello scegliere i suoi giocatori, tipicamente maturi, per Clarence fa un’eccezione). Tre anni di grandi successi, poi il nuovo approdo italiano.
A riprenderselo (la facciamo breve) è l’Inter, squadra che lo trattiene tre anni, ancora in un periodo negativo per Moratti (quando spende e spande senza stringere). Poi il passaggio al Milan, e stavolta il periodo è ancora peggiore: parlo di quando il Milan compra benissimo e a prezzi stracciati dall’altra metà di Milano: era un gioco (anche) di plusvalenze per taroccare legalmente i bilanci, ma il campo non si tarocca (all’Inter andò in cambio un certo Francesco Coco: ci siamo capiti). Il resto è storia: i trofei li ritrovate sopra, i numeri parlano di centinaia di presenze (432 partite ufficiali, Galliani dixit e una media-gol di tutto rispetto per un centrocampista (oltre 60 marcature, al ritmo di uno ogni sette partite).
Sul campo, di lui sappiamo tutto, inutile dilungarsi. Meglio allora ricordare i suoi millemila impegni fuori dagli allenamenti: proprietario del Finger’s a Milano, in passato ha investito anche nei motori (aveva una squadra motociclistica in 125), si è comprato anche il Monza (assieme ad alcuni soci): non proprio un affare, visti i risultati scarsi e la difficoltà nello stare in società, che lo hanno visto litigare per un allenatore (non voluto dagli altri) e che da un paio di anni lo vedono perennemente in uscita (mai formalizzata).
Probabilmente, però, la cosa più interessante del Seedorf non-calciatore è l’impegno nel sociale: ha fondato Champions for Children, associazione che si impegna a promuovere l’educazione attraverso lo sport in quei paesi dove i bambini vivono condizioni di povertà e disagio: un impegno che è un retaggio diretto dell’infanzia di Clarence, nato a Paramaribo (capitale del Suriname), e che poco più di un anno fa lo ha portato a venire nominato Cavaliere dell’Ordine di Orange, una decorazione nazionale olandese dalla storia ultracentenaria. Non vi basta? Ha fatto il designer di gioielli, tra le millemila cose. E sostiene che «chi pensa solo al calcio, si brucia prima» (visto il coinvolgimento di alcuni calciatori o ex nello scandalo di Scommessopoli, è difficile dargli torto), oppure «nella vita non basta il talento, né essere il numero uno al mondo. La carriera nel calcio dura 15-20 anni: poi comincia la vita. Bisogna prepararsi ad affrontarla, da subito».
Tornando al calcio, possiamo anche aggiungere che collabora con la BBC nelle grandi occasioni: ha esordito a Sudafrica 2010, confermatissimo per questo Europeo. Non vi basta ancora? Aggiungiamo anche che ha collaborato con il New York Times, un paio di anni fa, tenendo una rubrica mensile chiamata Seedorf Responds (collaborazione nata dopo un’intervista che, evidentemente, il giornale ha ritenuto particolarmente succosa). Ce n’è abbastanza per capire che l’uomo è qualcosa di più del semplice calciatore strapagato e indolente. A proposito di impegni, lo vedremo ancora per qualche giorno in televisione, nella campagna «Respect». Dopodiché, sarà giusto che cominci a mancarci.