Toh, gli inglesi…
Guarda chi c’è. Italia – Inghilterra è una sfida strana, perché non la vediamo quasi mai e forse non sappiamo cosa aspettarci. L’ultima partita tra le due nazionali ci fu nel 2002, a Leeds, in amichevole: 2 a 1 per noi con doppietta di Vincenzo Montella. Sono passati dieci anni, sulle panchine sedevano due santoni come il Trap ed Eriksson.Gli avversari odierni sono alquanto anomali, portano un grande nome ma non sembrano affatto una grande squadra. E’ una delle prime volte nella storia in cui i britannici giocano senza la pressione di vincere e convincere.
Fabio Capello non ha impresso la tanto desiderata svolta ad un movimento calcistico troppo diverso, il quale poggia le sue basi su una cultura e su un modo di vivere altrettanto originali. Il nazionalismo inglese ci è confermato da secoli e secoli di guerre orgogliose e di isolament0 altezzoso. Dicono di aver inventato il gioco del football, perciò neanche un allenatore pluridecorato merita perdono, soprattutto se straniero. Il ct dei Tre Leoni è adesso uno di casa, ben accetto dai giocatori ma non dalla stampa: viene definito mediocre, sia come uomo che come allenatore. Da lui nessuno si aspetta niente, i sudditi di Sua Maestà hanno imparato ad assumere posizioni più modeste nei loro proclami. Posizioni che, è il caso di dirlo, sono finalmente in linea con la storia.
Proprio loro praticano con Roy Hodgson il calcio che hanno sempre detestato in quanto troppo nobili per nascondersi dietro a facili speculazioni. I primi mondiali non vollero nemmeno disputarli, ma con l’ex Inter ora sperimentano un sistema di gioco all’italiana che forse gli causerà qualche imbarazzo. Eppure i risultati stanno arrivando: non eccelsa nelle qualità individuali, la nuova Inghilterra si schiera con un 4 – 4 – 2 elementare, ottuso quasi. Le linee di difesa e centrocampo sono strettissime, in otto proteggono il portiere Hart. La fase offensiva? Contropiede, ricerca della rapida verticalizzazione e speranze riposte nel genio di Rooney. Tale atteggiamento è probabilmente favorito dall’abbattimento psicologico che anni e anni di insuccessi hanno generato a Londra e dintorni. Nessuno ha più voglia di illudersi e, visto che il mediocre Hodgson sta miracolosamente andando avanti, non si esce dal guscio.
Sarà una sfida suggestiva, il richiamo della storia è forte: abbiamo fatto i loro gregari nelle due guerre mondiali, abbiamo preso spunto dal loro sistema economico e studiamo la loro lingua. Ammiriamo il cambiamento di civiltà che ha distrutto gli hooligans e introdotto il calcio pulito. “Facciamo come l’Inghilterra”: questa frase, negli ultimi anni, è diventata il ritornello dei soliti disfattisti. La Premier League ci soffia i campioni, riempie gli stadi e le poltrone italiane grazie alle dirette Sky; i nostri allenatori giungono in Oltremanica e non vorrebbero ritornare più; le sfide Champions si rivelano spesso impari.
Insomma, questi inglesi ci appaiono come una grande utopia, un Paradiso felice, un sogno irrealizzabile. Molti si sentono piccoli al loro confronto, molti si sentono italiani nel senso peggiore del termine. Ma domenica, a Kiev, incontreremo una squadra straordinariamente normale, non mediocre (come non lo è neanche il buon Hodgson) ma di certo utile per far scemare il mito britannico. Affrontiamo un modello che in questa estate orientale sembra molto italianizzato ed ha in sella un trainer che proprio nel Belpaese ha perfezionato il suo credo tattico. Come tutti. Perché adesso è una sfida a tutto tondo, di livello nazionale, e qui i più forti siamo noi. Non dimentichiamolo: lo dice la storia.