Home » Euro2012, il personaggio: l’arbitro di porta

Un personaggio al giorno, dentro o fuori dal campo di gioco, fino al 2 luglio: MondoPallone, durante tutti gli Europei, vi regalerà quotidianamente la biografia compressa di giocatori e non solo. Oggi è il turno dell’arbitro di porta, presente in anteprima su tutti i campi di Euro2012.

Era la prima volta per l’Ucraina in una fase finale dell’Europeo (al Mondiale hanno già partecipato: ci ricordiamo la doppietta di Luca Toni nel 2006): è stato già moltissimo. La squadra era composta di vecchie volpi del calcio occidentale (Shevchenko, Tymoschuk) e da giovani di belle speranze (Rakitskiy, Jarmolenko, Konopljanka, Butko), freschi di Under21, ma spesso ancora inesperti ai massimi livelli (Rakitskiy gioca nello Shaktar, Jarmolenko nella Dinamo Kiev, ma se giocassero all’estero sarebbe raccomandabile per crescere e confrontarsi con campionati più competitivi).

Essere lì, ancora in gioco per la qualificazione, a 90 minuti dalla fine, è stato davvero il massimo possibile. Mancava anche il portiere titolare, Shovkovski: 37 anni, è una vecchia volpe a dispetto del fatto di essere sempre rimasto alla Dinamo Kiev. L’Europeo casalingo lo ha quindi giocato Pyatov, portiere dello Shaktar, appartenente alla categoria di mezzo: non troppo bravo né esperto per essere una vecchia volpe, non troppo giovane (27 anni: il futuro è del 19enne Koval, non suo). Non ho idea di come si dica “saponetta” in ucraino (“sapone” dovrebbe essere Мило), ma Pyatov di sicuro da iersera lo ricorda bene. La sua ciccata è costata una sconfitta immeritata.

E se anche la vittoria svedese sulla Francia rende ininfluente l’errore tecnico sul piano del risultato, magari all’Ucraina sarebbe piaciuto potersela giocare per uscire dalla competizione con un risultato competitivo. Incassato il colpo sulla congiuntura sbagliata (piccola deviazione di Selin, mi pare, più saponetta di Pyatov, e il gol è stato preso: Inghilterra prima. Però fa male uscire sconfitti 1-0 avendo segnato un gol.

Perché ogni volta che sento le alte sfere del calcio blatterare che la moviola in campo non si può per questo motivo, e i sensori di porta no perché troppo costosi, e così via, penso solo una cosa: che dire di no alle innovazioni è un ottimo strumento di controllo dell’esistente. Se, sul modello dell’instant replay nel basket italiano (ma potremmo prendere a esempio il rugby), gli allenatori potessero ricorrere una volta a partita alla moviola (e l’arbitro potesse ricorrervi ad libitum), sarebbe più difficile garantire qualche squadra in qualche competizione (tipo: la Corea del Sud nel 2002). I soldi sono un falso problema: facile sarebbe garantire certe cose durante le fasi finali di tutti i tornei maggiori.

E’ incredibile come nel 2012, in un mondo sportivo in cui nel basket si ricontrollano tutti i fischi negli ultimi 2 minuti di partita, in un tennis in cui un tennista alzando la mano fa partire un computer, in una pallavolo in cui c’è la talpa (con risultati pessimi ma c’è), nel calcio stiamo ancora così indietro.

Alessandro Lelli mi ha fatto un rapido excursus degli sport che, ai massimi livelli, hanno adottato tecnologie innovative: oltre al basket e al rugby, che ho già citato, anche il tennis («un tennista alzando la mano fa partire un computer») e la pallavolo, che adotta la talpa (con risultati discutibili, ma non si può mai pretendere la perfezione, men che meno in tempi brevi). Presto o tardi arriveranno anche le freccette e il badminton. Il calcio, no.

È vero che il calcio, a differenza di altri sport, ha meno bisogno di attrezzature (è quello che ne ha decretato il successo dagli oratori in poi), ma non nascondiamoci dietro scuse così puerili. Io sono a favore, sempre e comunque, della tecnologia. E se proprio non possiamo mettere la moviola in campo, se proprio non si può mettere un microchip nel pallone di modo che sia lui stesso a segnalare quando entra; allora mettiamo almeno un microchip nel cervello di chi è deputato a decretare il gol.