Se il gioco del pallone è la vostra passione maggiore, non abbiamo dubbi nel credere che quando in strada, in ufficio o al cinema incrociate un tizio con lunghi capelli ricci, magari biondi, e aspetto un po’, diciamo, particolare, il primo pensiero che vi barcamena per la testa è “Ma guarda, quello porta i capelli alla Valderrama“! Pochi calciatori nella storia sono rimasti tanto impressi nell’immaginario collettivo a causa, o per merito, del loro look come “El Pibe” Carlos Valderrama, talentuoso centrocampista colombiano classe 1961, protagonista sui campi di calcio a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Tuttavia, sarebbe riduttivo ricordare il buon Carlos solo per i suoi lunghi ricci biondi e per i suoi baffi: Valderrama è stato un calciatore delizioso, tra i migliori giocatori sudamericani del XX secolo.
Nato in una numerosissima famiglia nel distretto di Santa Marta, in Colombia, Valderrama respira calcio sin dalla culla: suo cugino Didì e suo padre sono calciatori di discreto livello, di conseguenza il piccolo Carlos comincia a tirare calci ad un pallone fin da bambino. Fa la trafila delle giovanili nell’Unión Magdalena, squadra in cui giocava il padre, ed esordisce con la stessa società in prima divisione colombiana nel 1981, diventandone fin da subito uno dei pilastri. Dopo tre anni ricchi di belle prestazioni, viene acquistato dalla formazione dei Millonarios di Bogotà, la capitale del paese sudamericano: sembra la svolta per il giovane Carlos, ma evidentemente le luci della grande città lo stordiscono, fallendo quest’avventura e accasandosi con il Deportivo di Calì. L’approdo in biancoverde rappresenterà la svolta per la carriera di Valderrama, che in breve tempo diventerà uno dei leader di una formazione che non vincerà praticamente niente, ma che offrirà un calcio spettacolo grazie ai suoi interpreti, come quel Bernardo Redin con cui Carlos si trovava a meraviglia in campo. Come detto, con la squadra di Calì non vince niente, ma a livello personale viene eletto giocatore sudamericano dell’anno 1987. E’ la consacrazione che lo porta dritto dritto in Europa.
Valderrama sbarca nel Vecchio Continente nel 1988, acquistato dal Montpellier, squadra che militava, e milita, nella Ligue 1, il massimo campionato di calcio francese. Due reti in amichevole e un esordio straordinario con la maglio dei blu arancio lasciano pensare ad un’avventura ricca di soddisfazioni per il colombiano, invece, quasi subito finisce in panchina, giocando pochissimo. Troppa la differenza tattica e fisica tra il campionato colombiano ed il calcio europeo per uno dalla tecnica e dalla visione di gioco magistrali, ma poco abituato a correre. L’anno successivo, col cambio d’allenatore Carlos gioca di più, conquistando la Coppa di Francia e fornendo buone prestazioni; ciò tuttavia non gli vale riconferma ed il biondo ricciolone viene acquistato dalla formazione spagnola del Valladolid, allenata dal connazionale Maturana, già suo tecnico nella Nazionale. Questa volta sembra davvero che le cose possano cambiare e il suo talento esplodere definitivamente anche in Europa, ma la stagione del club non va secondo le aspettative: il mister viene esonerato e con lui se ne va anche Valderrama, che chiude con pochissima gloria la sua parentesi europea. Torna in Colombia, acquistato dall’Independente de Medellin, ma è l’anno successivo che ci sarà un’altra svolta nella sua carriera, quando sarà acquistato dall’Atletico Junior. Con la sua nuova formazione, Carlos conquista da protagonista assoluto due titoli nazionali, più il suo secondo trofeo a livello personale di calciatore sudamericano dell’anno nel 1993.
Nel 1996, a 35 anni, inizia l’ultima grande avventura della sua carriera da calciatore. Si trasferisce negli Stati Uniti, tesserato per i Tampa Bay Mutiny. Esordio fantastico nella neonata MLS, in cui il colombiano a suon di gol e assist trascina la sua squadra fino alle semifinali, eliminati a un passo dall’apoteosi. Fatto sta che la splendida stagione gli vale il titolo di MVP come miglior calciatore della stagione. Tranne una brevissima parentesi al Deportivo Calì, rimarrà negli Stati Uniti per ben 6 anni, indossando, oltre a quella dei Tampa Bay, anche quelle dei Miami Fusion e dei Colorado Rapids, risultato in mole occasioni tra i migliori dell’intera lega. Carlos Valderrama si ritira ufficialmente dal calcio giocato l’1 febbraio 2004. Accanto alla sua carriera in squadre di club, lunghissima è stata la sua militanza con la selezione del suo paese: con la maglia dei Cafeteros, il centrocampista ha disputato tre mondiali, Italia 1990, USA 1994 e Francia 1998, 5 Coppe Amrica, arrivando in tre edizioni sul gradino più basso del podio, più varie altre competizioni. Anche in Nazionale Valderrama passa da momenti di esaltazione, come la splendida avventura della selezione colombiana alla rassegna iridata del ’90, ad altri di depressione e di voglia di ritirarsi, come dopo il mondiale statunitense in seguito al brutale assassinio del compagno Andreas Escobar. Tuttavia, il richiamo dei gialloblu è sempre stato più forte della voglia di abbandonare definitivamente, tanto che lascerà la selezione sudamericana solo dopo l’eliminazione della Colombia al mondiale francese, nel 1998.
Questo è stato il Valderrama sublime calciatore, ma Carlos è stato molto di più. Un’icona per una nazione e per un continente intero, uno stile di vita e di libertà, prima ancora che uno dei maggiori talenti della storia del calcio colombiano e non, visto che Pelè lo ha inserito lo ha incluso nella vista dei 100 calciatori viventi più grandi di sempre. Un personaggio sempre sopra le righe, sposatosi prestissimo e protagonista di scappatelle extraconiugali, farà scandalo la provocazione nei confronti dell’arbitro Óscar Ruiz al quale Valderrama, diventato a fine carriera dirigente dell’Atletico Junior, sventolerà in faccia una banconota da 50.000 pesos come a simboleggiare la corruzione del direttore di gara per un rigore concesso alla squadra avversaria. Anche questo è Carlos, un personaggio anacronistico con i suoi capelli e i suoi baffi, un look che ha creato davvero un mito nel mondo, il cui unico cruccio, forse, è stato non aver avuto la possibilità, o la forza, di sfondare in quel calcio europeo così troppo lontano dalle sue caratteristiche di fine intarsiatore di calcio ragionato e felpato, troppo veloce e frenetico per permettere ai suoi ricci di esprimere al massimo tutta la potenzialità di un numero 10 come pochi nella storia.