Home » ESCLUSIVA MP: La seconda vita di Pietro Strada

A volte ci ghettizziamo così tanto che perdiamo di vista la realtà. Nulla ci sembra possa esistere dietro a un fuorigioco o a un gol mancato, siamo talmente innamorati di questo magnifico sport da sentirci spaesati nel confronto con la vita.Là fuori, invece, c’è un mondo pieno di occasioni e speranze, una sfida continua per superare te stesso e scacciare i fantasmi della malinconia. Tutto ha una fine, perciò è necessario ampliare i propri orizzonti, conoscersi a fondo, sfatare i tabù. In poche parole: è una scelta tra lasciarsi andare o sopravvivere.

Pietro Strada ha deciso di concedersi una seconda possibilità, una nuova esperienza professionale. E’ ripartito da zero, ha smesso di giocare a calcio quando aveva 38 anni e poi si è riciclato in un ambito diverso. Il trequartista mancino che infiammava la fantasia di Carlo Ancelotti, ai tempi di Reggiana e Parma, è oggi collaborare di un gruppo bancario. Non più tocchi di fino e assist ma leasing e finanziamenti: un’inclinazione trascinata da anni, alla quale si è aperto con entusiasmo.

Il pallone non lo abbandona, frequenta dei corsi a Coverciano e segue con emozione le partite dei suoi due figli. Senza infortuni avrebbe avuto una carriera ancora migliore e, probabilmente, sarebbe stato uno dei ventitré azzurri nella spedizione francese del 98. Il suo più grande rammarico è quello, per il resto si dice soddisfatto dell’attuale momento: si impegna in un lavoro che gli piace e gode il calcio da semplice spettatore. Pietro Strada ci ha regalato un’intervista ricca di contenuti. Ci ricorda che nella vita le sfumature sono davvero, davvero, tante.

Signor Strada, ci parli di questo suo nuovo lavoro

In pratica sono un collaboratore bancario, mi occupo di leasing e finanziamenti. E’ un percorso che ho intrapreso nel gennaio del 2008, pochi mesi dopo la fine della mia carriera calcistica. Lavoro per un gruppo bresciano.

Come è nata questa seconda carriera?

Si tratta di un’attività che mi ha sempre appassionato, così quando ho smesso di giocare e mi si è presentata tale opportunità ho deciso di coglierla al volo. E’ stato un amico che faceva parte della dirigenza del Brescia a parlarmene per la prima volta.

Perché non è rimasto nel calcio?

Non è capitata l’occasione giusta, a me sarebbe piaciuto. L’intenzione originaria era quella di occupare una scrivania, al campo ho sempre preferito questa eventualità  per il mio domani da ex calciatore. Nel Brescia i ruoli del genere erano tutti occupati, quindi ho dovuto fare di necessità virtù. Continuo comunque a essere spettatore interessato del calcio, frequento inoltre un corso a Coverciano e osservo le partite dei miei figli. Non chiudo le porte per il futuro ma attualmente sto bene così.

La sua storia può essere da esempio per i calciatori? In fondo dimostra che la vita non finisce quando si attaccano gli scarpini al chiodo…

Guardi, le dicevo che frequento un corso a Coverciano. Proprio lì io e gli altri iscritti stiamo imparando i segreti del marketing e degli altri settori estranei al campo. Alla fine della carriera agonistica subentra sempre un minimo di smarrimento, è vero, però adesso c’è abbastanza sensibilità intorno a questo argomento. La stessa A.I.C. si sta dimostrando molto attenta a tale tematica, quindi si può dire che le possibilità di imboccare nuove strade non mancano di certo.

La Salernitana le ha permesso, da giovane, di salire alla ribalta. Ricordi dell’esperienza in granata?

La Salernitana rappresenta una tappa fondamentale della mia carriera. E’ stata il mio trampolino di lancio: ero giovane e poco conosciuto, in granata mi hanno dato fiducia. Mi sono tolto delle belle soddisfazioni, siamo andati dalla C1 alla B e successivamente sfiorammo la serie A; fu in quel momento che acquistai  fiducia e consapevolezza dei miei mezzi.

Le faccio un nome: Carlo Ancelotti

Allenatore importantissimo per la mia affermazione ad alti livelli, di lui conservo un ricordo eccezionale. Assieme a Maifredi e Delio Rossi è tra i tecnici a cui sono rimasto più affezionato. Ricordo tante vittorie centrate assieme, a Reggio Emilia prima e a Parma poi.

Senza infortuni avrebbe partecipato a Francia 98?

E’ un rammarico enorme, l’unico che ho. Ero tra i probabili convocati, Cesare Maldini mi aveva provato in un amichevole antecedente alla competizione. Nella mia carriera ho subito troppi infortuni: non mi hanno consentito di indossare, almeno una volta, la maglia della nazionale. Ci tenevo molto.

In età avanzata cambiò ruolo: le ha allungato la carriera sportiva questa cosa?

Mi ha sicuramente permesso di tirare la carretta fino a 38 anni. Avvenne a Lumezzane, in serie C1: trovai l’allenatore ideale per la fase che attraversavo, fu lui a convincermi di cambiare posizione. Giocai alla Pirlo, da regista in mezzo a due interni che correvano molto e mi garantivano la libertà di costruire la manovra. Non solo la mia carriera si allungò, ma ebbi anche la soddisfazione di disputare un anno a Brescia, la squadra della mia città.

Dal 2000 in poi la sua carriera si è svolta tra B e C. Fu difficile trovare gli stimoli dopo un buon periodo ad alti livelli?

Quando si scende sul campo c’è sempre emozione e gioia, a prescindere dalla categoria. L’ultimo anno l’ho fatto in Promozione e posso assicurarle che mi sono divertito molto ugualmente. I dubbi possono nascere nel momento di compiere la scelta, poi però svaniscono se c’è la passione. I guai, invece, cominciano nella fase in cui quest’ultima svanisce: è lì che bisogna avere il coraggio di dire basta.

Ci sarà mai più una favola provinciale come quella del suo Parma?

Quella del Parma è stata una favola particolare, dietro c’era una solidità economica davvero importante. Probabilmente si sbagliò nel voler procedere oltre i propri mezzi, perché come è finita lo sappiamo tutti. Non penso di rivedere una provinciale che lotta per lo scudetto ed alza trofei: la storia dei diritti tv e le altre componenti finiscono per premiare le squadre in base al nome e al curriculum. Le favole si possono comunque vivere in maniera diversa grazie a gente seria e preparata. Il Chievo, in serie A da dieci anni, è un autentico esempio di miracolo sportivo.