L’impresa di Conte

Domenica 6 maggio 2012 la Juventus ha vinto il suo ventottesimo scudetto (30 per chi fa del cabaret la sua ragione di vita): la vittoria di Antonio Conte e della sua squadra, ha chiuso una stagione a dir poco straordinaria – anche se all’appello manca ancora la finale di Coppa Italia – un campionato da record, quel record caratterizzato da zero sconfitte, che è giusto ricordare e menzionare soprattutto perché è valso per conquistare l’importante traguardo, atteso da tanti anni, forse troppi, visto il blasone e l’importanza planetaria del club europeo. Il tecnico bianconero, o meglio, il condottiero dei bianconeri, ha compiuto grazie all’apporto dei vari Pirlo, Buffon e Del Piero (il capitano merita sempre di essere menzionato, ndr) un vero e proprio capolavoro, un miracolo sportivo inaspettato da tutti, addetti ai lavori e non, un’impresa storica, tanto più se a esser stata sconfitta è stata una squadra tecnicamente superiore come il Milan. Conte ha vinto su tutti i fronti: ha costruito una vera squadra, pur sbagliando qualche acquisto sul mercato – vedi Elia – un gruppo compatto che ha sempre dato prova di divertirsi in mezzo al campo, di sacrificarsi e lottare fino all’ultimo secondo, cose che sono venute a mancare in maniera abnorme sulla sponda rossonera, la quale ha dato prova, anche se in parte giustificata dagli infortuni cronici di Nesta e Pato su tutti, di non essere una squadra unita e coesa al fine di ottenere un grande obiettivo, bensì una macedonia di singoli o mezze figure, più interessati al crearsi un alibi per la futura mancata vittoria – vedi il caso del gol non dato a Muntari, tra l’altro non decisivo ai fini della classifica finale – che a vincere e convincere nelle gare decisive: gli zero punti ottenuti negli scontri diretti rappresentano un dato significativo.

Zero, come detto, le sconfitte della banda diretta da Antonio Conte, uno che ha imparato in fretta il mestiere dell’allenatore, uno che ha nel dna e nella filosofia vincente le sue armi migliori: il mister bianconero partì l’estate scorsa con un’idea tattica, il famoso 4-2-4, cavalcata solo nelle primissime giornate di campionato, dimostrando nel proseguo della stagione una duttilità negli schemi che solo chi vuol raggiungere il top può avere, schemi diversi tra loro uniti però da un’unica mentalità offensiva, dalla voglia sempre e comunque di fare calcio, di imporre il proprio gioco, qualsiasi siano gli interpreti del momento. Conte e la Juventus hanno vinto, convinto e stravinto sul Milan di Allegri e Galliani, su chi ha fatto della presunzione e dell’arroganza il proprio credo, su chi ha voluto gettare fango e ombre sul meritato successo della Juventus.

Il tecnico rossonero in tutta un’annata si è mostrato sempre spocchioso, come se si sentisse già arrivato nell’olimpo dei più grandi, e questo dopo appena un campionato e una supercoppa, vinti tra l’altro con una squadra largamente superiore alle altre, e con un Ibrahimovic in più. Allegri e lo stesso amministratore delegato dei rossoneri pensavano forse che solo con lo svedese la musica si sarebbe ripetuta anche in questa stagione, peccato che il Conte incontrato oggi sia un lontano parente del Leonardo incontrato ieri. Anche Conte e la sua Juve sono stati e sono presuntuosi, ma la loro presunzione è vincente, quella del Milan è stata invece perdente. Per i rossoneri il detto giusto è ‘Ritenta, sarai più fortunato’.