Caro Allegri, Clarence deve avere il suo tributo

Domenica 13 maggio, ultima giornata di una stagione avara di soddisfazioni che il Milan e i suoi tifosi vogliono mandare presto in archivio per cominciare a programmare il Diavolo che verrà. Per i colori rossoneri l’anno calcistico 2011/2012 avrà l’appendice della 34/a di Serie A in casa col Novara, un’occasione per salutarsi e darsi appuntamento all’anno prossimo, vogliosi di riscatto, in cerca di nuova linfa, affamati di successi. La sfida coi piemontesi, tuttavia, sarà ammantata da un secondo velo di tristezza, di nostalgia e siamo sicuri che a qualcuno scapperà una lacrima, un arrivederci pronunciato flebilmente, strozzato in gola da una magone al tempo stesso di affetto e gratitudine.

Saranno gli ultimi 90′ con addosso la maglia rossonera per tre bandiere del Milan degli ultimi 10 anni, tre uomini prima ancora che calciatori, tre che con quei colori hanno vinto tutto da protagonisti assoluti, che hanno contribuito ad alimentare il mito di quella divisa gloriosa. A meno di cataclismi emotivi, Alessandro Nesta, Filippo Inzaghi e Clarence Seedorf diranno addio al Milan, alla società che li ha resi grandi e che loro hanno contribuito a rendere immortale attraverso il loro lavoro, la loro classe, le loro prodezze, il loro sudore, il loro amore. Sì, il loro amore, perché quando frequenti un luogo per una decade almeno un pezzo della tua vita e dei tuoi affetti si trasferiscono lì, rimarranno lì, a prescindere dagli scenari futuri che il destino disegna.

Con la casacca meneghina cucita addosso come una seconda pelle, Nesta, Inzaghi e Seedorf sono stati tre professionisti esemplari, ognuno a modo suo. Mai una parola fuori luogo per i primi due, nonostante le ultime stagioni siano state abbastanza travagliate, vuoi per gli infortuni del difensore romano, vuoi per le tantissime panchine dell’attaccante piacentino. Clarence, invece, “il Professore”, colui che nelle giornate migliori insegna calcio a chiunque, non le ha ai mandate a dire. Il suo rapporto con Allegri non è mai stato idilliaco, non è mai stato come quello con Ancelotti, per intenderci. Giusto o sbagliato che sia, il suo pubblico lo ha amato anche per questo suo metterci la faccia sempre e comunque, per il suo non nascondersi, per le sue lacrime, amare e genuine, dopo un’eliminazione dagli ottavi di finale di Champions League dopo aver dato tutto.

Sua moglie ha fatto capire che il futuro dell’olandese sarà lontano da Milano e dall’Europa: destinazione Brasile dove Clarence si aggregherà col suo nuovo club, il Botafogo, già da settimana prossima. Rumors da Milanello dicono che, a differenza dei suoi due colleghi, Seedorf non scenderà in campo contro il Novara: troppo forte lo strappo col suo allenatore per lasciarsi andare ai sentimentalismi. Per lui, che tecnico già lo è in campo e che potrebbe diventarlo anche domani una volta appese le scarpette al chiodo, siamo sicuri sarebbe un colpo al cuore non poter salutare con addosso la sua maglia numero 10, correndo sul prato di “San Siro” per l’ultima volta, lottando per il suo Milan un’ultima volta.

Ecco perché, caro mister Allegri, Clarence deve avere il suo tributo. Certo, la sua avventura col club lombardo non è stata sempre rose e fiori, con picchi di calcio sublime e momenti meno spumeggianti; tuttavia sono stati dieci anni condotti col cuore, col lavoro di un professionista e di uno che ha vinto tutto, più di tutti e che con umiltà si è sempre preso le sue responsabilità nei momenti difficili e ha esultato col gruppo in quelli di gioia. Quando se ne va uno di famiglia deve essere salutato come si deve, perché non si sa se tornerà, se si farà rivedere; perché, comunque, lascia un vuoto che va in parte mitigato con un ricordo, con un saluto, con un applauso, con una sciarpa al vento o un coro per celebrare “il Professore”. Lui siamo sicuri risponderà con quel braccio teso e quell’indice pronto ad indicare la sua gente, con una lacrima che righerà il suo viso e un arrivederci reciproco.