E’ la settimana in cui il bianco e il nero sono i colori prevalenti, quelli che identificano la squadra campione d’Italia, quelli che appena accennati in un discorso lasciano immediatamente capire di cosa si sta, calcisticamente, parlando. Dici bianconero, pensi al gol di Vucinic, all’esultanza di Conte, alla rimonta interista nel derby di San Siro che ha concesso alla truppa juventina di festeggiare al “Nereo Rocco” di Trieste il suo 28esimo/30esimo Scudetto.
E’ la settimana del bianco e nero, di un bianco e nero che domina la vetta della classifica, vero: ma non solo. Perché oltre a quello tricolore (goliardico e ossimorico cromatismo) giusto due posizioni più in basso, “a un punto dal Paradiso”, c’è l’Udinese: squadra che anche quest’anno può definirsi vera rivelazione del campionato, e tecnico, Guidolin – colui che, nella conferenza post Genoa, ha pronunciato la frase di cui sopra – che per la seconda stagione consecutiva ha dimostrato di conoscere il calcio come le proprie tasche. Di conoscere il calcio come, probabilmente, in Italia non lo conosce nessuno.
Più umano, più “padre” che “allenatore”, il tecnico di Castelfranco Veneto ha ricevuto elogi ma anche tante critiche nel corso di questo, per lui e per tutta l’Udinese, esaltante campionato. Nei momenti, infatti, in cui i friulani sembravano aver perso lo smalto utile ad attuare il balzo decisivo, nei momenti in cui, falcidiati dagli infortuni e ostacolati dagli impegni dei nazionali africani nella loro coppa continentale, il gruppo bianconero pareva non riuscire a tenere il passo delle più quotate avversarie, qualche giudizio negativo, qualche zampillo di polemica, qualche dito puntato dritto in mezzo agli occhi da parte della onnisciente e onnipresente critica sono venuti fuori. Con concentrazione, determinazione e umiltà, però, Guidolin ha saputo abilmente tenere tutto e tutti a bada, usando l’intelligente tecnica del “poche chiacchiere e tanto lavoro” per tenere saldi tra le mani gruppo e situazione, arrivando, adesso, a un passo da quello che sarebbe un traguardo a dir poco sensazionale.
D’altronde, pensare di migliorare l’esaltante quarto posto dell’anno scorso, a inizio di questo campionato, sembrava niente più che un’ambiziosissima utopia; rendersi conto di esserci assolutamente riusciti a una giornata dalla fine e, anzi, avere addirittura la possibilità di fare meglio, agguantando un clamoroso terzo posto, è invece la conferma che con il lavoro pulito, con l’impegno, e la passione, i risultati si ottengono. Inoltre, ricordiamolo: quest’anno la squadra è cambiata, e non di poco: non ci sono né Inler, né Zapata, né Sanchez, che non sono di certo tre scappati di casa, tre sconosciuti; facendo poi focus sul reparto avanzato, in termini di rendimento – non si discute la qualità dei singoli, sia chiaro – i vari Fabbrini, Torje, Abdi e Floro Flores non hanno sempre reso come ci si aspettava, o meglio, di certo non hanno reso tanto quanto ha fatto proprio il “niño maravilla” nella passata stagione. Di Natale, lui, sì che invece ha stupito ancora. Asamoah, poi, in zona mediana, è definitivamente esploso, diventando uno tra i più bravi centrocampisti – no, anzi: il più bravo – che ci sono in Serie A. E Benatia, Danilo, Domizzi e Handanovic sono riusciti a far bene lì dietro, rendendo la retroguardia bianconera non così semplice da espugnare.
Insomma, sembra che anche quest’anno, in casa friulana, tutto sia filato liscio, aiutato ovviamente dall’ambiente calmo, pacato, che si vive in quel di Udine, dove il calcio viene vissuto senza quelle pressioni mediatiche che nelle grandi piazze, paradossalmente, ostacolano il più delle volte l’operato e le intenzioni degli addetti ai lavori. A Udine c’è calma, c’è ordine, c’è strategia. Forse, di passione non così tanta – la tifoseria friulana non è di certo una delle più calorose – ma è un qualcosa, questa, che in Società si sta provando a modificare (con lo stadio nuovo, più piccolo e accogliente, i cui lavori di costruzione inizieranno a breve). L’Udinese, dunque, si sta confermando sempre più un modello, IL modello, da seguire, per godere, magari, di un calcio più bello, più elegante, più avvincente. Perché no: più pulito. Cosa, quest’ultima, che di questi tempi non è di certo così scontata da riscontrare.