Stadi nuovi e cultura sportiva: il “progetto calcio”

Non ricordo in quale partita (ma era una recente) all’Olimpico di Roma i tifosi giallorossi hanno esposto uno striscione eloquente, che invitava a riflettere su questo calcio ormai malato. C’era scritto roba del tipo: “trasferte vietate, stadi vuoti, partite truccate… è questo il calcio che volevate”? Ora, volendosi ovviamente allontanare da uno spirito ultras che, buono o malvagio che sia, sarebbe troppo di parte per poter affrontare una riflessione neutrale, la cosa che balza immediatamente agli occhi è che, volenti o nolenti, quello striscione, al giorno d’oggi, è tristemente reale.

Un po’ la tessera del tifoso, un po’ le pay-tv, un po’ la crisi economica, un po’ questo un po’ quello, fatto sta che ora come ora gli stadi italiani, obsoleti i più, presentano una desolazione domenicale a cui sembra proprio che ci siamo purtroppo abituati. Desolazione che si fa sentire il doppio quando a essere semi-vuoti sono quegli impianti che, storicamente, dovrebbero essere invece quelli più caldi, più passionali, e sempre pieni. Esempi clamorosi, l’Olimpico di Roma (che neanche ai  derby quest’anno si è riempito), il San Paolo di Napoli, il Renzo Barbera di Palermo, il Franchi di Firenze. Certo, i risultati influiscono – e la Fiorentina in questa stagione non sta di certo facendo in modo che i suoi supporters vadano felicemente allo stadio – ma il problema vero è un altro: l’inadeguatezza di tali impianti, vecchi, troppo vecchi, anche insicuri, e soprattutto non costruiti – il più delle volte – per ospitare esclusivamente partite di calcio.

Fattore, quest’ultimo, che con l’avvento dell’alta definizione, del 3D, delle pay-per-view, che consentono di avere nel salotto di casa ogni angolo del terreno di gioco (avete presente le spider-cam?) pesa sempre di più sulla buona riuscita generale di un evento sportivo, esteticamente e numericamente parlando. Dimostrazione ne è il successo, clamoroso ma assolutamente non inaspettato, dello Juventus Stadium: costruito in modo tale che anche dall’angolo più lontano la partita si vedesse in maniera eccezionale, e che in ogni punto il clima, l’ambiente, fosse caldo, caldissimo, passionale, è riuscito a invertire la tendenza, e a portare benefici al club (che nonostante sia la società con più tifosi in Italia, negli anni passati, tra Delle Alpi e Comunale, raramente riempiva lo stadio), ai supporters e, soprattutto, allo stesso sport del calcio, che senza tifo perde metà della sua bellezza. Inoltre, guardate la Juventus: prima in classifica, lanciata a vele spiegate verso lo Scudetto. Imbattuta, impenetrabile in casa, dove attende gli avversari come un leone affamato che sa di aver vita facile nella propria tana.

Insomma, la Juventus ha trovato il modo giusto sia per far quadrare i conti (avete minimamente idea di quanti introiti derivino da uno stadio di proprietà? Tour giornalieri dei tifosi, catering, sponsor, biglietti…) sia per ottenere maggiori risultati sul campo. Esempio, questo, che a meno di inghippi burocratici sarà seguito anche dall’Udinese, che piazza caldissima non lo è, ma che date le recenti eccellenti stagioni, e dato l’entusiasmo garantito da uno stadio nuovo, più piccolo ma più accogliente, potrebbe diventarlo. E potrebbero ri-diventarlo Roma e Lazio, che ambiscono presto a costruirselo, il nuovo stadio (nonostante l’Olimpico sia sia rifatto il lifting solo qualche anno fa, ma tant’è: alle pendici di Monte Mario, la partita si vede in maniera decente solo dalle tribune). A proposito: è notizia recente che proprio i biancocelesti, dopo la bagarre del Friuli, si siano ritrovati a litigare anche col Coni, con cui non avrebbero trovato un accordo per il dossier da presentare all’Uefa in relazione all’impianto che dovrebbe ospitare le gare interne della Lazio in Europa (a patto che ci vada, ovvio). E quest’altro punto, cioè che le stesse squadre italiane siano costrette ad “affittare” gli stadi dal Coni, è un altro punto che va a favore della costruzione degli stadi di proprietà. Che prevederebbero, è vero, una grande spesa iniziale e ingenti costi di gestione, ma tali costi sarebbero di certo compensati negli anni, e i club ripagati di tutti i benefici che ne deriverebbero.

In sostanza, in questo calcio ormai malato bisogna investire, e farlo nella maniera giusta. Partendo, appunto, proprio dagli stadi, per poi passare al mercato, quello dei giocatori (troppo inflazionato oggi, a causa del forte richiamo mediatico costruitoci sopra da un’angusta e sciacalla categoria giornalistica), e infine all’educazione sportiva degli addetti ai lavori. Scene come quelle del Friuli di un paio di sere fa, infatti, sono inammissibili. Fanno male al calcio, e questo sport ha bisogno di risollevarsi, non di cadere a terra con tutte e due le ginocchia.