Il risultato è tutto nel calcio, soprattutto in Italia. Chiudere la stagione con “zero tituli” è nocivo quando ti chiami Milan ed hai una rosa, almeno sulla carta, più forte rispetto a quella delle concorrenti.La vera forza, però, consiste nel saper valutare la realtà con equilibrio e raziocinio, senza snaturare le identità personali. La Juventus sta meritando lo scudetto, perché gioca meglio delle altre e perché scende in campo con una cattiveria agonistica inaudita; i rossoneri potevano fare di più, è vero, ma non considerare i molteplici malanni fisici con cui Allegri ha dovuto convivere sarebbe clamorosamente ingiusto. Esiste una buona base attraverso cui ripartire: stravolgere tutto non aumenterebbe di certo le possibilità di vittoria, in Italia e nel mondo.
Sono già volate le indiscrezioni sul nuovo allenatore prescelto da Berlusconi, con Spalletti e Capello in testa all’ondata dei rumors. Il nostro sport, tra una marea di pregi, ha il grande difetto di dimenticare in fretta, di esprimere giudizi netti in pochissimo tempo. Allegri ha sbagliato qualcosa nelle ultime giornate, ha concesso troppa fiducia a un Seedorf ormai ingiallito e, al contrario, ne ha accreditata poca ai freschi Maxi Lopez ed El Shaarawy. Ma il simpatico Max è lo stesso che nella passata stagione riuscì a domare uno spogliatoio colmo di caratteri particolari, è quello che fece fuori Ronaldino, il pupillo del presidente, è quello che inventò Boateng trequartista e rinunciò a Pirlo per Van Bommel. E’ lo stesso mister che valorizzò Abate e Robinho, ridiede entusiasmo a Gattuso e centrò il tricolore mancante da sette anni. L’ex Cagliari, poi, possiede un dono particolare nella gestione dei centrocampisti: in Sardegna consacrò Biondini, Lazzari e Cossu; a Milano si sono giovati della sua cura, oltre al già citato Boateng, Nocerino e Muntari. Lo stesso Aquilani, prima dei consueti malanni fisici, stava trovando una continuità a lui sconosciuta.
Allegri ha sempre fatto praticare un bel calcio alle squadre, anche al Milan dell’ultimo campionato. Gli infortuni, come già dicevamo, hanno sicuramente inciso nelle recenti prestazioni, ma l’involuzione di Max appare innegabile. Palla lunga per Ibra e preghiera per tutti. Che il gigante svedese sia così condizionante? E’probabile, di certo possiamo affermare che il numero undici risulterebbe il più agevolato se ci fosse un’avvolgente manovra collettiva. Il tecnico toscano si è conformato troppo alla stella del suo gruppo, ha smarrito le idee e i contenuti attraverso cui era riuscito a salire alla ribalta. L’intraprendenza non dovrebbe mai mancare nel primo decennio della carriera, Allegri sembra invece più vecchio di Trapattoni. Non aggiunge nulla di suo al Milan, è quindi logico che si faccino nomi nuovi per la panchina, nomi più acclamati e dalla bacheca rigogliosa. Ritrovare quel mix di praticità è innovazione: il comandamento è impellente.
Ritorniamo a Zlatan Ibrahimovic, inevitabilmente croce e delizia per le sorti delle società in cui si imbatte. Possibile che nessuno tra i vertici rossoneri riesca a mettere a freno la sua esuberanza? Il Milan si è goduto nella sua storia fior fior di campioni, anche migliori rispetto allo “zingaro”. Pensiamo a Gullit, Van Basten, Kakà, Shevchenko, decisivi tra le mura domestiche così come in Europa e nel mondo, gente che non avanzava alcuna pretesa di superiorità rispetto ai compagni. L’attuale mutamento è figlio della scarsa voglia di spendere oppure di una critica fase intellettuale? Questo Milan, se leggermente corretto e meno colpito dalla dea bendata, sarebbe competitivo per lo scudetto anche nella prossima stagione; in Champions no, il divario con le super potenze è troppo ampio per essere colmato in tempi brevi. Bisognerebbe però guardare con previdenza al futuro, recidere il cordone ombelicale che lega Galliani e discepoli agli eroi dell’ultima epopea di via Turati, investire su giovani talentuosi e affatto usurati. Bisognerebbe ripartire da Allegri chiedendogli di fare l’Allegri, perché ha dimostrato di possedere delle qualità e merita un’altra chanche, bisognerebbe prima di tutto rivestire i panni intransigenti del passato. Il Milan si è sempre distinto per organizzazione, serietà e preminenza della maglia rispetto ai singoli: caratteristiche da preservare con orgoglio e convinzione.