La dimostrazione genovese
Si è detto tanto, si è detto – forse – troppo sui nuovissimi fatti di Genova. MondoPallone, come scritto dall’ottimo Tommaso Maschio in questo articolo, ha già affrontato la situazione; ma siccome questo è un sito che vive di idee – e le idee possono essere, ovviamente, uguali o diverse – anche quando se ne è già discusso, se c’è qualcosa che si può aggiungere per completare, perché no, un’argomentazione, beh: ben venga.
Tornando indietro di un paio di giorni, allora, e finendo a Genova in una tiepida domenica pomeriggio di primavera, dalle parti dello stadio “Ferraris” si nota parecchio subbuglio: giocatori senza maglia in campo, ultras imbufaliti, polizia pronta a intervenire in caso di sommosse che, invece, mai ci saranno. Perché, checché se ne dica, la protesta dei tifosi genoani è stata, seppur eticamente poco elegante, assolutamente inoffensiva in termini di “pericolosità” (e ci mancava solo questo), e soprattutto è stata clamorosamente efficace. Far togliere le maglie ai propri giocatori da un lato è considerabile come una delle più grandi umiliazioni che una squadra possa subire; dall’altra, va a risultare come l’esatta esaltazione di quello “stile ultras” da sempre criticato, il più delle volte non sapendo neanche cosa volesse dire veramente. Anche se, secondo un mio modestissimo parere, la VERA umiliazione i giocatori, in campo, l’hanno subìta poco dopo, a partita ri-iniziata.
Una gradinata intera voltata di spalle e abbracciata, una tifoseria che, stavolta con educazione e vecchio stile, ha “dato le spalle” a una squadra in balìa di una corrente apparentemente troppo forte per essere domata. In balìa, poi, di un presidente che sembra non riuscire più a dare le opportune garanzie, e che rischia di far vivere alla sua gente ciò che solo un anno fa hanno vissuto i cugini blucerchiati. Quelli che videro l’allora capitan Palombo pregare scuse sotto la curva, quelli che proprio dagli genoani, spinti in alto da Palacio e compagni, venivano sberleffati e, sportivamente, derisi. Preziosi sta, dal canto suo, sbagliando tutto: condannare il gesto dei suoi tifosi è stata la dimostrazione della sua volontà di fingere di tenere tra le mani una situazione che non riesce più a mantenere saldamente in pugno. Che a Marassi si sia esagerato, poi, è un altro conto, è un altro discorso; che non sia lecito fermare una partita per volontà della gente dovrebbe risultare, per tutti, scontato, ma quando invece ciò accade si ottiene la scoraggiante dimostrazione di come le cose nel Belpaese funzionino alla bell’e meglio. Escludendo la motivazione della protesta (condivisibile nel suo essere), infatti, NON E’ AMMISSIBILE che accadano cose del genere, e che chi di dovere non riesca a gestire una tale situazione; è assurdo, quindi, che la gestione organizzativa di una partita ufficiale scappi via dalle mani a coloro che, invece, dovrebbero garantirne l’esatto svolgimento.
Perché, in qualsiasi momento della stagione, e in qualsiasi partita – di cartello o meno – allo stadio bisogna andare per star tranquilli. Nel senso: giusto o sbagliato che siano state le loro ragioni, i tifosi – non armati, non pericolosi(ssimi) – domenica hanno avuto la meglio, e ciò no, non è normale. Anzi, ciò è la dimostrazione di come la sicurezza negli stadi sia, purtroppo, solo un’eventualità nella legislatura italiana. Come dire: “noi, a farvi star tranquilli e sereni, allo stadio, ci proviamo. Ma se proprio non ci riusciamo…”