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ESCLUSIVA MP – Aldo Papagni, un’intervista a cuore aperto

L’uomo prima, il professionista poi. E’questo il succo di una piacevole chiacchierata in compagnia di Aldo Papagni, allenatore dell’Aquila calcio. Pugliese di Bisceglie, accento inconfondibile, concetti nobili e chiari: Papagni ci ha conquistato con la sua semplicità, con la sua capacità di vedere oltre e non scadere nelle solite frasi fatte che accompagnano i protagonisti del mondo del calcio.

Subentrato a Maurizio Ianni lo scorso 4 aprile, l’ex tecnico dell’Andria sta cercando di condurre la società abruzzese verso il prestigioso traguardo dei playoff. Dichiara di aver trovato un ambiente leggermente deluso dagli ultimi risultati; domenica arriverà la capolista Perugia e non si può sbagliare, la sfida è di quelle che fanno tremare i polsi. Il nome dell’Aquila, purtroppo, è ormai indelebilmente associato ai tragici episodi del 6 aprile 2009, eventi dei quali il presidente Elio Gizzi è riuscito a farsi beffa. Promozione in Seconda Divisione e ambizioni mai celate di scalare un’ulteriore gradino.

Non mollare mai, rinascere e guardare al futuro senza inibizioni: caratteristiche di una città che nella tragedia è riuscita a scoprire la propria forza. Aldo Papagni è un ex insegnante, prima di mettersi la tuta si aggirava tra i banchi. Del resto le similitudini tra il mondo del calcio e quello scolastico sono molte, bisogna gestire un gruppo e compiere delle scelte. Bisogna, soprattutto, scavare un solco nell’anima dei ragazzi. E’la lezione odierna di Aldo Papagni.

Mister, domenica c’è una gara molto delicata con il Perugia…

Sì, gli umbri possiedono una rosa di livello. Farebbero bene anche in Prima Divisione. Non sarà semplice, questo è certo, ma noi stiamo lottando per un posto nei playoff e in casa dobbiamo farci rispettare da tutti.

A proposito dei playoff: quanto ci credete?

Ci crediamo ciecamente, abbiamo le qualità per ambire a tale traguardo. Bisogna giocare ogni gara al massimo, fino alla fine. Poi tireremo le somme.

Si aspettava un rendimento simile da parte delle prime tre?

All’inizio c’è stato un grande l’equilibrio, ricordo che L’Aquila si trovava a due punti dalla promozione diretta. Poi le inseguitrici sono calate ma, soprattutto, le prime tre hanno tenuto dei ritmi davvero impressionanti. Sono compagini forti e ben allenate, probabilmente hanno qualcosina in più rispetto a tutte le altre.

Playoff a parte, qual’è il suo bilancio sul campionato disputato dall’Aquila?

Come lei ben sa, io sono qui da poco. Ho ereditato la squadra da Ianni a inizio mese, chiaramente non posso esprimere giudizi troppo precisi. Posso dirle che la rosa è ottima e il gruppo è formato da bravi ragazzi; i risultati sono però tutto nel calcio, centrare i playoff cambierebbe volto alla stagione.

La piazza aquilina come vive il calcio?

Ho trovato una moderata delusione al mio arrivo, la squadra stava andando bene e la gente iniziava a sognare. Poi in cinque partite la classifica è mutata: tre pareggi e due sconfitte hanno rallentato la corsa al vertice. Lo stesso stato d’animo lo intravedo nello spogliatoio, l’unico ingrediente per la ripresa è il lavoro.

Macalli ha detto che i tecnici devono allenarsi nell’uso dei defibrillatori. Avete già fatto qualcosa in tal senso?

Di specifico non è stato fatto nulla. Io credo sia necessario un addestramento di pronto soccorso, valido per qualsiasi situazione. Gli ultimi eventi hanno fatto riemergere una problematica a cui, al contrario, si dovrebbe prestare sempre riguardo. La prevenzione è fondamentale nel calcio.

Macalli ha parlato anche di riforme. Ci crede?

Al di là di tutto, bisogna partire da un dato di fatto: nella scorsa Lega Pro ci sono stati 127 punti di penalizzazione; quest’anno siamo vicini alla stessa cifra. Io ho vissuto sulla mia pelle inconvenienti del genere, vi assicuro che condizionano il lavoro in maniera quasi irreparabile. Sto leggendo di vicissitudini simili per il Pergocrema e altre società. Al campionato deve iscriversi solo chi può permetterselo.

Una vita tra Prima e Seconda Divisione per lei: si è mai presentata l’occasione per fare un salto di categoria?

C’è stato un periodo della mia carriera, dopo i due anni di Taranto, in cui sentivo di poter spiccare il volo. Mi giunsero varie richieste da società di serie B, con il Frosinone era quasi fatta e poi all’ultimo scelsero Cavasin. Io rimasi addirittura senza lavoro, perché ero convinto di firmare con il club ciociaro e perciò declinai qualsiasi offerta. La serie B avrei potuto guadagnarla anche da solo, nell’anno di Benevento: allenavo una squadra molto forte, non aver centrato la promozione mi rammarica un po’.

Una carriera al Sud. Come mai?

Inizialmente pesò la voglia di stare vicino alla famiglia, ero giovane e non volevo allontanarmi troppo. Poi fortunatamente mi si è sempre presentata la doppia occasione: chiaro che, a parità di programmi, scelgo un club che mi permetta di conciliare il lavoro e la vita privata. 

Voi tecnici navigati, ci restate male quando arrivano questi giovani senza gavetta?

Da parte mia non c’è nessuna invidia nei confronti dei colleghi più giovani, il calcio è così. Oggi si va un po’ dietro alle mode, questo è indubbio, però io credo che sia sempre e solo la bravura a premiare il professionista. Che tu sia giovane o vecchio poco importa, sono i risultati a decidere il futuro. Ho iniziato ad allenare che ero un 33enne, tre anni dopo stavo già in C2. Nessuno mi ha regalato qualcosa.

A suo avviso l’opinione pubblica è abbastanza clemente con la Seconda Divisione?

Sicuramente avere un girone in meno è positivo per la visibilità delle partecipanti, tutti guadagnano uno spazio maggiore. Il calcio è importante in qualsiasi categoria, la stessa serie D merita di essere seguita perché annovera tra le proprie fila club come Salernitana, Ancona, Venezia, Messina e chi più ne ha più ne metta. Il primo passo deve essere quello di risolvere i problemi esistenti, la crescita degli interessati sarà una conseguenza.

Cosa le ha insegnato il calcio?

Prima di diventare un allenatore sono stato un insegnante part time. Credo che in ogni ambito professionale sia importante lasciare un segno nel cuore delle persone, altrimenti significa che abbiamo fallito. Oggi ho ripetuto ai miei ragazzi le parole di Anna, la fidanzata di Morosini: “Mario mi ha insegnato a vivere nel sacrificio, a vivere semplicemente, mi ha regalato la sua anima, i suoi occhi, i suoi respiri, il suo amore”. Questa testimonianza mi ha toccato molto, sentivo il bisogno di condividerla con lo spogliatoio perché io voglio curare anche l’anima del calciatore, non solo l’aspetto tecnico.