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Più sicurezza, e di nuovo via alle emozioni

E’ la settimana del dolore, quella della scomparsa di tre ragazzi, tre sportivi, due calciatori e una pallavolista; è la settimana dei dibattiti, delle analisi, delle parole gettate al vento, delle critiche utili e inutili, delle dita puntate, del “bisogna aspettare le tragedie per fare qualcosa”. E’, praticamente, una di quelle settimane che nessuno avrebbe mai voluto vivere, di quelle che ci fanno prendere coscienza che la vita va presa alla giornata, senza troppi programmi, senza troppi progetti, con ambizioni grandi, sì, ma mai esagerate.

La vicenda di Morosini ha sconvolto tutti, sportivi e non; all’Adriatico di Pescara è stato scritto il triste epilogo della storia di un ragazzo sfortunato, che dopo aver vinto mille battaglie ha perso, all’improvviso, quella più grande e importante, tradito proprio da quel cuore che per tutto l’arco della sua breve esistenza gli ha regalato carattere da vendere, consentendogli di prendere sempre le decisioni più opportune, di guardare avanti a testa alta e sorridere, nonostante tutto intorno sembrasse cupo, nero.

Con il suo addio, il “Moro”, uno sportivo dal grande talento, una persona mai oltre la soglia dell’umiltà, ha unito un Paese, ha fermato uno sport. La sua tragica fine, di certo, non cadrà nel dimenticatoio, o almeno non lo farà senza aver prodotto un risultato dolce-amaro: quello di aumentare la sicurezza negli stadi, per gli atleti in questo caso, durante le competizioni sportive. Dolce perché utile, amaro perché sarà una decisione presa conseguentemente a una tragedia (ed è, ciò, oramai una prassi). A ogni modo, checché se ne dica (a proposito: leggendo in giro trovo assurdo paragonare ciò che è accaduto a Morosini uguale a quello che potrebbe accadere a “Gino l’imbianchino”; è un po’ come dire che andare su una moto a 300 all’ora è uguale a correre su un triciclo: una sbandata puoi prenderla comunque) nello sport, la sicurezza, va obbligatoriamente garantita. Lo stress da prestazione, che una volta si aveva guardando negli occhi la propria donna, oggi si ha su un prato verde, perché gli impegni son triplicati, e il fisico, com’è ovvio che sia, mano a mano ne risente. Ragion per cui: aumenta lo stress, devono aumentare le precauzioni, perché la vita è sacra. Quindi, ben vengano i defibrillatori in campo, per il fatto che non c’è mai troppa prudenza nel provare, almeno, a salvarla la vita, o meglio ad avere pronte all’uso le possibilità per farlo.

All’orizzonte, comunque, ed è un orizzonte oramai vicino, c’è un altro weekend, in cui il pallone italico riaccenderà i motori. Si tornerà a parlare di calcio giocato, di fuorigioco sbagliati, di 4-3-3 con attacco sulle fasce e difese troppo alte, di probabili esoneri e corsa Scudetto. Si continuerà a parlare, ovviamente, di Morosini, del vigile urbano pater familias sciagurato nella distrazione di aver lasciato l’auto in doppia fila, dell’ambulanza che perciò ha perso minuti preziosi, di cause e controcause, e si mischierà il tutto a un’esultanza, a un’imprecazione, a sfottò, critiche e movioloni. Perché il calcio, e la vita, sono esattamente così: un mix di cose belle e brutte. Ne siamo abituati, ne facciamo parte. Basta, dunque, con le finte esaltazioni, addirittura puerili quando poi servono a erigersi al di sopra della massa ignorante, alla quale – vox populi – serve poco per dimenticare; il “Moro” non c’è più, e questo è un gran dispiacere; ma il calcio, lo show, vanno avanti, e lui stesso, Piermario Morosini, che è sempre andato avanti nelle difficoltà che ha incontrato, sarebbe d’accordo: da venerdì sera, occhi incollati al prato verde. E di nuovo via alle emozioni.