Perché…

Un soffio di vento, una carezza, un effimero salto nel nulla condito di istantanee e poetiche emozioni. La vita è tutto questo e molto di più, è tutto cio che di indescrivibile siamo e ciò che non riusciamo a comprendere fino a quando quella carezza lascia una traccia tanto indelebile quanto malinconica.

Piermario Morosini a 25 anni ha lasciato un segno, una vita, un ricordo. Un ragazzo timido, ingenuo, ma con l’animo da tigre. Sembra tutto così assurdo, tutto così surreale ma è, ahime’, tutto così struggente e terribilmente vero. Non si può e non si deve morire così, pieni di vita, di passione. Perché, mi domando, perché tutto questo?

Taccola quarant’anni fa, Renato Curi, Foé, Puerta, Fehèr, Morosini e tanti altri. Sono molti i nomi di calciatori che sul quel lotto d’erba verde hanno lasciato la loro vita immergendo la propria passione nella vita. Quella stessa vocazione dalla vita li ha portati via e lasciati alla brezza della notte. Ragazzi che vivevano per correre dietro ad un pallone, giovani che per un ideale, per un sogno hanno dato tutto.

Taccola vide spegnersi la sua esistenza un 16 marzo del 1969: aveva seguito la sua Roma in trasferta a Cagliari. Al termine della gara, il cuore ha smesso di battere: come Morosini, aveva 25 anni.

1977, 30 Ottobre, si gioca Perugia-Juventus: Renato Curi, dopo uno scatto in velocità, si accascia al suolo improvvisamente. Inutili i soccorsi: un ragazzo di 24 anni che senza un perché, senza un sospiro se n’è andato. Oggi lo stadio comunale del capoluogo umbro porta il suo nome.

Marc Vivien Foé si è spento nel 2003 nel corso della semifinale di Confederations Cup tra il Camerun, la sua squadra, e la nazionale Colombiana. Come lui Puerta, a 22 anni, e Miklòs Fehèr, 24 anni.

Fabrice Muamba qualche settimana fa è riuscito a scampare alle tenebre e tornare ad assaporare la gioia di sentirsi vivo. Piermario Morosini non ha potuto provare l’ebbrezza di respirare ancora e di poter sorridere di nuovo. Dobbiamo chiederci se vale la pena spingere certi ragazzi allo stremo delle proprie possibilità psico-fisiche, dobbiamo chiederci se vale la pena esasperare quello che dovrebbe essere uno spettacolo e che invece sempre più si sta trasformando in un macabro teatro.

Quello che ci porta ad amare il calcio è un insieme di valori, è la passione di poter guardare un rettangolo verde in cui riponiamo i nostri ideali, i nostri sogni e le nostre aspettative. Non vogliamo e non dobbiamo avere il terrore di tragedie imminenti. Non vogliamo e non dobbiamo aspettarci il peggio. Non vogliamo e non dobbiamo piangere un ragazzo di 25 anni che conduceva una vita da professionista sportivo, che non aveva eccessi di alcun tipo, che non si lasciava andare.

Ciò che vogliamo è che questo rimanga uno spettacolo gradevole e sicuro, sempre e comunque. Noi siamo persone che in quei 90′ minuti mettono le proprie emozioni. Guardare un giovane che lascia così questo mondo così spietato è il pugno più forte che possiamo ricevere, il colpo più crudele che il nostro animo possa sopportare.

Piermario Morosini era un uomo che dalla vita aveva ricevuto quasi sempre schiaffi e delusioni. Rimasto orfano giovanissimo, perduto anche il fratello, con una sorellina malata, aveva trovato in quel pallone una ragione per continuare a vivere un sogno nonostante i giorni sembravano sempre più bui. Annina, la sua fidanzata, era l’amore che troppo spesso gli era mancato prima, il calcio la ragione della sua vita e il motivo per cui non demordeva.

Il sogno s’era avverato: 23 ottobre, di scena Udinese-Inter: mister Serse Cosmi lo fa esordire in Serie A. La vita improvvisamente più bella e radiosa. Lottava per i suoi cari che non c’erano più e ce l’aveva fatta. Un ragazzo dal carattere di ferro, uno che la sfida l’ha sempre accettata ma che alla fine ha dovuto combattere contro un nemico troppo più grande di lui.

Questi ragazzi non devono rinunciare alla loro passione di sempre, devono continuare a lottare e a sorridere. Morosini nel 2005 diceva: “Sono cose che ti segnano e ti cambiano la vita, ma che allo stesso tempo ti mettono in corpo tanta rabbia e ti aiutano a dare sempre tutto per realizzare quello che era un sogno anche dei miei genitori“. Perché un ragazzo così deve andarsene?

Auspicare più controlli e più attenzione sembra banale, ma visti i pomeriggi di dramma bisogna agire. Dire basta al freddo business e alla corsa spietata al guadagno più netto. Bisogna dare un taglio al calcio di oggi, bisogna riportarlo allo spettacolo coinvolgente di qualche anno fa, quando protagonista era il pallone e non il denaro.

Che il triste giorno che ci ha privato di questo grande campione possa servire finalmente a lasciar spazio alla coscienza di chi questo mondo lo governa. Che la sua morte possa riportarci alla vera essenza di questo sport tanto bello quanto gelido. Che la brezza del sorriso possa accarezzare tutte le persone che con animo appassionato si avvicinano a questo ambiente, senza pensare alla fine, senza pensare al pericolo.

Che possiamo tornare a giocare a calcio, nel ricordo di Taccola, Curi, Foé, Puerta, Fehèr, nel ricordo di Piermario Morosini.

 

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Marco Macca