Ditemi voi, se questo è un uomo. Un uomo che combatte, che perde i genitori e il fratello ma trova la forza di sorridere grazie a una vita costruita sul sogno. Un uomo che muore su un campo di calcio, dopo aver corso, lottato e gioito per le reti dei compagni. Un uomo che fa a pugni col destino, che tenta invano di scacciare una sorte maledetta, che chiede la reazione proprio a quelle gambe attraverso cui cercava la sua gloria. Ma il cielo plumbeo di Pescara non risponde alle invocazioni misericordiose.
Ditemi voi se si può accettare tutto ciò: un’esistenza stroncata per una partita. Non è la prima volta, ultimamente le brutte storie si accavallano senza tregua. Tristi fatalità o c’è dell’altro? E’una domanda che bisogna porsi con grinta e convinzione: la morte di Piermario Morosini ci deve insegnare ad andare fino in fondo, a scavare tra i misteri del dolore, a non perpetuare lo strazio vissuto nella giornata odierna. Siamo oramai vaccinati alle disgrazie, non bisogna correre il rischio che ci scivolino addosso senza trasporto. Organizziamoci, non lasciamo niente al caso; la scomparsa di un 24enne che correva con ardore agonistico ci dovrà lasciare sempre sgomenti: lo dobbiamo a Piermario Morosini.