Spunti da Quevilly
Tutti, nella vita, inseguiamo un sogno: un’idea, un’ideale, la realizzazione personale, un amore, una passione. C’è chi riesce a esternarlo per natura, e chi per sua natura è più schivo; c’è chi si mette in gioco a qualsiasi livello, e chi invece rinuncia a ogni soddisfazione per paura di non farcela. Chi rinuncia a una passione per un’altra (il lavoro che vince sulla famiglia, o magari viceversa); chi rinuncia alla gloria per la coerenza; o chi, pur di essere coerente con se stesso, finisce per rinunciare proprio a se stesso. (Sì, questa ultima è un’autocritica.)
Ci sono, per fortuna, anche casi segnati favorevolmente dal destino, che la spettacolarizzazione giornalistica solitamente chiama «miracoli» (senza rendersi conto di offendere quelli veri). Comunque sia, la spinta alla realizzazione di sé coinvolge a volte anche gruppi, e le squadre di calcio non fanno eccezione: lo sanno bene a Le Petit-Quevilly, cittadina di 20.000 anime nell’estremo Nord della Francia (dipartimento della Senna Marittima), dove la squadra locale si è appena qualificata per la finale di Coppa di Francia. Non è la prima volta che la disputano: era già accaduto nel 1927, quando il calcio era totalmente diverso. Adesso milita in National (la nostra Prima Divisione; e in Francia è il primo campionato in cui possono giocare compagini non professioniste). E non si tratta di un exploit isolato: due anni fa la stessa compagine aveva raggiunto le semifinali, fermato però dal Paris Saint-Germain poi vincitore.
In redazione abbiamo cercato di ricordare successi simili anche in Italia: l’ultimo caso clamoroso è la finale disputata dall’Ancona (poi ottava in Serie B) nel lontano 1994. È chiaro il motivo di tante mancate sorprese: la formula della Coppa Italia favorisce le solite note e, soprattutto, non penalizza quelle grandi squadre che usano vedono negli impegni di coppa un intralcio al campionato: quante volte le prime della classifica hanno schierato formazioni raccogliticce o improbabili, riuscendo tuttavia a passare egualmente il turno?
In Francia, dicevamo, c’è appena stata un’eccezione, con il Quevilly finalista, e già nel 1996 (con il Nîmes) e nel 2001 (con l’Amiens) una squadra del Championnat National si era qualificata alla finale; ma ancora più clamorosa è stato il caso del Calais, che nel 2000 giocò e perse (per 2-1) la finale contro il Nantes, giocando nel CFA (Championnat de France Amateurs): l’equivalente della nostra Seconda divisione. E sempre nel 2000, in Inghilterra, si parlò di favola-Tranmere: la piccola squadra di Birkenhead, nella penisola del Wirral (poco sopra il Galles) raggiunse la finale della Football League Cup, e i quarti della FA Cup (risultato replicato anche nel 2001 e nel 2004), giocando in First Division (che, a dispetto del nome, ai tempi era la Serie B inglese) e ritrovandosi banalmente a metà classifica.
Non credo ai miracoli, se proprio devo dire la verità; men che meno a quelli calcistici o sportivi in generale. Credo piuttosto alle occasioni che vengono colte o meno; e credo a quel poco di fortuna che fa sì che a volte ci sia l’uomo giusto (o la squadra giusta) al posto giusto. Credo a Davide che batte Golia, qualche volta; anche se so che la norma non è certo questa. Ma, viste le condizioni in cui versano i nostri paesi, vista la paura del futuro che ci travolge, vista la miopia in cui ci siamo voluti cacciare e dalla quale non riusciamo più a uscire; lasciateci sperare che sia possibile. Per Davide-Quevilly, Golia si chiama Lione; poi ognuno di noi sa come si chiama il proprio (nevrosi, mobbing, disoccupazione e così via).
Un’ultima cosa. Voglio dedicare questo articolo, per quel poco che vale, alla memoria di Fabio G., che mercoledì sera senza preavviso se ne è andato per sempre durante una partita di calcetto: una sua abitudine settimanale, con gli amici, tirando tardi col cronometro, perché le passioni, quali che siano, non hanno tempo, e a noi umani piace viverle fino all’ultimo. «Nessuno muore sulla terra finché vive nel cuore di chi resta»: vale per le persone, per le passioni e per chi ce le trasmette. Un caro saluto.