Senza perché, senza pensieri: “Forza Mirko!”

La vita è beffarda, la vita può inebriarti di gioia l’attimo prima e trascinarti nell’oblio subito dopo. Poco importa quanto di buono tu abbia costruito: il destino non conosce sconti. Mirko Fersini è (è!) un ragazzo come ce ne sono tanti, giovane e pieno di speranze; il pallone rappresenta per lui il più grande sogno, il piacere carnale mai sopito, l’illusione di non crescere mai. Mirko va a scuola, si allena con passione e poi magari esce con la sua fidanzatina. Roba da 17enne, normale per molti eppure così preziosa se ci sei dentro: un groppo in gola, in fondo, non è la cosa più bella al mondo?

Le tappe di un film non si fermano ad un allenatore famoso e dal passato importante quale Simone Inzaghi, non basta neppure il privilegio di essere entrato nel giro della nazionale. Quando si è giovani si vuole strafare: ecco il motorino 125, una calamita per ogni fanciulla. Un vezzo di cui tutti i coetanei di Mirko si forgerebbero volentieri, inutile cercare l’errore in una storia sempre crudele ma mai originale. Il terzino destro del vivaio laziale gioca per diventare, un giorno, il nuovo beniamino della Curva Nord, la stessa sotto cui si disimpegna puntualmente da raccattapalle. Esserci è un dogma, sentirsi parte dei colori del nostro cuore è una sensazione immensa. Assaporare quell’erba, osservare centinaia di amici che trepidano al tuo pari: perché farne a meno?

L’idolo è Stephan Lichsteiner, un modello dal quale apprendere i segreti del ruolo. Lo svizzero cercherà di recarsi nella capitale per abbracciare Mirko; i vertici del calcio, i tifosi della Roma e quelli delle altre squadre hanno espresso una sincera commozione, un abbraccio collettivo coinvolgente la Lazio e i familiari del ragazzo. Oltre i colori, oltre convinzioni e convenzioni: cos’è la rivalità sportiva dinnanzi a un dramma simile? Ognuno di noi rivede in Mirko pezzetti del proprio percorso, ambizioni e gioie difficilmente cancellabili. E’la storia di un mondo, quello del pallone, che come pochi altri sa stringersi attorno ai suoi figli, accudirli e sostenerli nelle disavventure del quotidiano; una grande famiglia mai riunita, un cordone ombelicale proveniente da lontano. Unica controindicazione: non abbiamo bisogno sempre del dolore per scoprirci simili più che mai, non possiamo permettere alla lacerazione di essere padrona dei nobili sentimenti. Noi, vittime della stessa malattia, rondini dello stesso nido.

Mirko è in fin di vita all’ospedale San Camillo di Roma: coma irreversibile. “Non è operabile” dicono i medici, “non ha speranze” ribatte angosciato papà Roberto. Gli amici piangono increduli, disgustati da un’esistenza che, per fortuna o purtroppo, non conoscono ancora fino in fondo. “E’ancora vivo perché è un lottatore, una forza della natura. Lui di certo non mollerà”. La Lazio non abbandona di un centimetro la famiglia del suo tesserato; Simone Inzaghi ne loda le qualità e continua a interrogarsi allo stesso tempo. Le notizie, inevitabilmente, si accavallano senza continuità: “Si è riaccesa la fiammella della speranza”, “ormai è finita”, una gara eterna al lancio dello scoop. Socrate sosteneva che nulla può far danno a un uomo buono, né in vita né dopo la morte. Non sappiamo come andrà a finire, ci è riservata la sola possibilità di pregare, illuderci e tifare. E allora gridiamolo forte: “Forza Mirko!”.