Mondopallone riparte con le sue esclusive: le vacanze pasquali sono ormai terminate, è tempo di ridare voce ai protagonisti della Lega Pro. Abbiamo intervistato Oscar Magoni, ex centrocampista di Bologna e Napoli, uno dei leggendari mestieranti del pallone negli anni 90. Calciatori di qui poco per volta perdiamo il gusto, a causa di un mondo sempre più incentrato sull’apparenza. I mediani di serie D oggi si trasformano in tronisti: figuratevi un po’!
Oscar Magoni è diventato nel frattempo un bravo allenatore, ha scalato tutte le categorie nella sua Lombardia. Dall’Eccellenza alla Lega Pro, manca solo l’ultimo salto. Il corridore che tanto piaceva a Mazzone siede sulla panchina del Renate, compagine collocata nel girone A di Seconda Divisione. Il comune brianzolo può forgiarsi di un quasi record: le 4.000 anime del territorio, infatti, collocano la società del patron Spreafico al secondo posto di una particolare classifica. Renate è il paese più piccolo, dopo Giacomense, ad ospitare una squadra di calcio professionistico.
I nerazzurri lottano per la salvezza, un margine di sei punti li separa dalla zona playout. I frutti del lavoro di Magoni si vedono: coltello tra i denti, organizzazione di gioco e lancio di molti ragazzi del settore giovanile. Il finale di stagione sarà decisivo, nel frattempo in Brianza ci dimostrano come organizzazione e serietà possano competere alla pari con il denaro. Il futuro bisogna saperselo guadagnare da soli: in fondo bastano corsa, grinta e passione. Chiedetelo a Oscar Magoni.
Mister, la classifica del suo Renate le ha fatto trascorrere una buona Pasqua?
Siamo in linea e forse qualcosa in più con i nostri obiettivi. Avevamo preventivato di lottare fino all’ultimo per la salvezza: potremmo addirittura bruciare le tappe. Domenica affronteremo il Montichiari, è uno scontro diretto che ci garantirebbe una grande tranquillità in caso di vittoria. Siamo riusciti a lanciare numerosi giovani del nostro vivaio, esprimiamo un buon calcio e ce la giochiamo alla pari con tutti. C’è rammarico solo per le ultime quattro partite, in cui i minuti finali ci hanno negato punti preziosi.
E se la sua squadra avesse avuto un attaccante dal gol facile?
E’ il nostro difetto principale, magari avremmo disputato un campionato diverso senza questa pecca. In difesa siamo molto solidi, sia in casa che in trasferta. Tra le mura amiche deteniamo la seconda retroguardia del campionato. Mi spiace perché la manovra offensiva mi soddisfa, ma spesso non riusciamo a finalizzare nel migliore dei modi.
Un piccolo paesino come vive la realtà della Lega Pro?
E’un orgoglio per tutto il territorio confrontarsi con città blasonate e maggiormente attrezzate dal punto di vista economico. Possiamo batterci solo grazie all’organizzazione e al lavoro quotidiano: qualità che, fortunatamente, possediamo. Un’altra risorsa fondamentale è quella rappresentata dai giovani.
Perché il livello della Seconda Divisione è più alto rispetto allo scorso anno?
Innanzitutto perché dalla serie D sono venute squadre importanti e forti: penso a Treviso, Mantova e Santarcangelo. Non esiste una squadra materasso, ogni sfida vive sul filo dell’equilibrio. Si punta molto sugli under, in giro ce ne sono tanti di valore. A beneficiare di tutto ciò è il livello di gioco, spesso capita di assistere a partite davvero interessanti.
La squadra rivelazione del torneo?
Se proprio devo giudicare penso subito al Santarcangelo, una realtà davvero importante. Non dimentichiamo però Treviso e Pro Patria: i veneti sono stati autori di una prima parte di stagione davvero sorprendente; i bustocchi, invece, senza la penalizzazione sarebbero in cima alla classifica. E’ vero che possiedono forse la squadra più forte del campionato, però partire con l’handicap non è mai semplice.
I giovani migliori invece?
Non voglio dirlo perché sono i miei, però la nostra rosa è colma di ragazzi con una buona prospettiva. Il portiere Pisseri, ad esempio, ha disputato una stagione sin qui ottima. Poi c’è Mantovani, un bel centrocampista, e infine i due attaccanti Gaeta e Mangiarotti, autori di sei gol ciascuno. Il panorama è vario: in mente ho ancora il Santarcangelo, perché mette in mostra un calcio piacevole in tutti i sensi.
Da allenatore non si è ancora discostato dalla Lombardia: è una scelta?
In parte si. Prima di tutto è stata importante una mia volontà: quella di iniziare subito dai grandi, senza fare trafile varie nei settori giovanili. E’una decisione che ha i suoi pro e i suoi contro, perché un risultato sbagliato può bloccarti immediatamente la carriera. Sono partito dall’Eccellenza e sono arrivato in Prima Divisione, a Lecco, ricevendo un esonero nonostante avessi centrato il record di punti nella storia della società in quella categoria. Nella mia scelta hanno inciso anche situazioni familiari: ho due figlie piccole e non volevo allontanarmi da casa; inoltre si erano verificati dei problemi adesso risolti. Ora mi sento pronto per qualsiasi tipo di esperienza.
Nella sua famiglia esiste una particolare inclinazione per lo sport…
Siamo cinque fratelli e ognuno di noi è riuscito a togliersi le sue soddisfazioni. Mio fratello Lino ha allenato la nazionale B di sci alpino e attualmente prepara un’atleta slovena. Quest’ultima è molto forte, gareggia al vertice in ogni competizione. Mia sorella Paola, sempre nello sci, ha vinto tutto quello che c’era da vincere: è stata per tanto tempo tra le migliori al mondo. Io rappresento la classica pecora nera perché non ho mai portato a casa dei trofei (ride). Ho anche altre due sorelle parecchio sportive, frenate dagli infortuni purtroppo.
Lei ha giocato sia da centrale che da esterno di centrocampo: quest’ultimo ruolo vede sempre meno specialisti. Perché?
Il calcio sta cambiando, il classico 4 – 4 – 2 è stato sostituito in numerosi casi dalla difesa a tre. Pensate alla Juventus, protagonista di un campionato eccezionale nonostante un sistema di gioco non definito. Io cerco sempre di adattare il modulo in base alla rosa a mia disposizione, in ricordo delle parole che mi disse Carlo Mazzone: “Un allenatore deve fare il vestito intorno ai calciatori”. Nel calcio moderno è così.
I suoi esterni preferiti?
Quelli del Napoli sono tutti ottimi calciatori, abili in entrambe le fasi. In giro, come detto, di specialisti puri se ne trovano pochi: a me piace Schelotto, uno che sulla corsia destra riesce ad attaccare benissimo. Anche il suo compagno Peluso è davvero bravo, però si tratta in questo caso di un esterno basso.
L’annata più felice della sua carriera da calciatore?
Guardi, può sembrare una frase fatta ma ricordo con piacere ogni momento della mia carriera. Ho girato parecchie squadre, ho avuto tantissimi compagni e allenatori in gamba. Ogni anno sono andato in crescendo da questo punto di vista. Mi ritengo fortunato perché ho lasciato una minima traccia dovunque: mi sono sempre fatto apprezzare come professionista e come uomo.
L’opinione pubblica è premurosa abbastanza con la Lega Pro?
La Prima Divisione può ritenersi soddisfatta: Sportitalia ne trasmette i posticipi e, inoltre, gli dedica alcune trasmissioni. In Seconda Divisione siamo ancora un po’ indietro, gli spalti risultano desolatamente vuoti. La vetrina televisiva è importante: io guardo tra le dieci e le quindici partite a settimane di Prima Divisione.
Oscar Magoni ha dei sogni nel cassetto?
Io sogno poco, vivo il presente con molta concretezza. Penso prima di tutto a salvare il Renate, poi si vedrà. Ovviamente mi piacerebbe scrivere pagine importanti in una società che mi faccia stare bene, anche questa magari; salire di categoria e puntare al massimo, poi, è un obiettivo che non può mancare. Bisogna sempre aspirare al meglio, da calciatore come da allenatore. Però non parlerei di sogni: questo è un mondo infido, in ogni momento tutto può cambiare. Preferisco dedicare le mie energie al presente.