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Super Mario, così è meglio che non torni

Ci volevano gli ultimi episodi che lo hanno visto per l’ennesima volta protagonista in negativo, per restare nuovamente disgustati dalla mediocrità comportamentale di uno dei più grandi talenti italiani del calcio moderno. Mario Balotelli ha stancato: ha superato il limite del “genio e sregolatezza”, e ha oramai sfociato in una maleducazione che va oltre l’etichetta di semplice bulletto di periferia.

Le sue recentissime genialate lo hanno praticamente allontanato dal City, e – a questo punto – purtroppo lo riavvicinano all’Italia, un’Italia che non vive di certo un grandioso periodo calcisticamente parlando (vedere i risultati in Europa e le vicende legate al calcioscommesse) e che soprattutto non ha bisogno di elementi che contribuiscano a macchiare l’identità di un Paese che si vede costretto oltremodo a giustificarsi, per conservare la dignità e la tradizione di nazione pallonara, e che dovrebbe invece armarsi di quella tenacia, quella grinta, quella sincerità che possa portarle onore in giro per il mondo.

Le intemperanze di Super Mario sono oramai divenute esagerate: non è più, questo, il periodo dei cori degli ultras che ironizzano sul suo carattere burrascoso; non è più il tempo di esaltare oltremodo la propria, assurda, personalità. E’ tempo, invece, di distruggere il personaggio che si è creato, e di rendersi conto di dover per forza di cose maturare. Trovare quell’equilibrio giusto, nella vita e nello sport, che gli consentirebbe di guadagnare stima e rispetto – di quello vero, concreto, reale – tra compagni di squadra e colleghi. Cosa che, ora come ora, appare tale e quale a un’utopia: l’impressione è che Super Mario non cambierà mai, e che il calcio sia ora e sempre lo sport condannato più degli altri, per conformazione e stereotipi, a veder spuntare fuori ragazzi come lui che si fingono adulti per lottare da bambini in un mondo che dovrebbe, invece, essere fatto di uomini veri.