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Il Bayern e il piacere dell’attesa

Gotthold Ephraim Lessing, scrittore, filosofo e drammaturgo vissuto nel diciottesimo secolo una volta disse che «l’attesa del piacere è essa stessa piacere». Riesco già a immaginarvi, voi lettori, seduti davanti allo schermo con uno sguardo disgustato e confuso, parlare di filosofia in un sito dedicato al calcio pare alquanto fuori luogo. Giungo quindi subito al punto, con la speranza di non aver già perso troppi contatti per colpa di quel nome complicato e non collegato ai campi da gioco utilizzato poco fa.
Vivendo in Germania da ormai dieci anni, sono giunto alla conclusione che la teoria esposta nella citazione di Lessing (come avrete notato dal nome, è lui stesso originario della Germania), sia infusa nel modo di vivere dei tedeschi, anche in congiunzione con il calcio. Concordo con quelli di voi che già sono armati per contraddirmi, parlando di gioco puro e crudo, il piacere dell’attesa sembra essere più la filosofia spagnola (o, meglio, catalana) di concepire il mondo del calcio. Il Barcellona di Pep Guardiola, infatti, sembra esaltarsi più nella creazione dell’azione stessa, che nella finalizzazione in sé: attendere il piacere, la rete, è piacevole quanto trovarlo, questo piacere. Questo però non si può attribuire alla maggior parte delle squadre di calcio tedesche. Da questa riflessione parte la mia prima premessa: non parlerò di calcio giocato. Non perché io lo consideri un aspetto poco importante, anzi; ma perché lo considero un argomento impossibile da trattare senza cascare in luoghi comuni o valutazioni soggettive. Oltretutto, sarebbe troppo facile dire che per un Messi ci sono un Robben e un Ribery, per un Sanchez c’è  un Mario Gomez, etc. Sarebbe altrettanto facile parlare di motivazioni derivanti puramente dal calcio, come la voglia di rivalsa di Robben e dei tedeschi contro gli spagnoli che gli hanno soffiat europeo, prima, e mondiale, poi.

Ma dove, quindi, si può riscontrare la filosofia di Lessing nel mondo del calcio tedesco se non sui campi da gioco? La risposta, almeno per quanto mi riguarda, pare ormai scontata: in tutto il resto! Lasciate che vi faccia un esempio: qualche anno fa, accendendo il mio televisore su una delle tante partite di calcio trasmesse in Germania, ho notato in alto nello schermo un piccolo numero a tre cifre preceduto da un meno. Un conto alla rovescia. Il numero però era molto alto, superava i settecento. All’inizio ho pensato che si trattassero di minuti o di secondi, anche se non capivo a cosa si riferisse l’attesa. Poi, con il passare del tempo e, risintonizzandomi sullo stesso canale nei giorni successivi ho capito che i numeri rappresentavano giorni. Caspita, mi sono detto, deve essere un evento importantissimo se fanno il conto alla rovescia con due anni d’anticipo! Qual’era l’evento? L’inizio dei mondiali 2006 ospitati proprio in Germania (Forza Italia! ndr.).

Pochi giorni fa ho rivissuto la stessa esperienza quando, sintonizzandomi sulla televisione pubblica tedesca per vedere i quarti di finale di ritorno di Champions League tra Bayern e Marsiglia, il mio occhio è subito stato catturato dal logo del Bayern Monaco che campeggiava fiero sullo schermo, subito sopra un altro conto alla rovescia, questa volta a scandire i giorni dal prossimo grande evento calcistico che invaderà il paese: la finale di Champions League del 15 maggio che verrà giocata proprio a Monaco, all’Allianz Arena, casa del Bayern. Durante l’anno del triplete, José Mourinho disse, riferendosi alla sfida tra Barcellona e Inter, «Ciò che per loro è un’ossessione, per noi è un sogno». Ecco, penso che lo spirito di attesa dei tedeschi, tradotto nei conti alla rovescia che campeggiano ovunque, sia proprio ciò che contribuisca alla creazione di questo sogno, un fremore che invade cuori in tutta la Germania, tifosi e non. E penso anche che sia questo il punto di forza del Bayern di quest’anno in Champions League: la voglia di realizzare il sogno che rappresenta la finale in casa propria. Ormai, giunti in semifinale, il sogno è ormai a portata di mano, l’unica sveglia da disattivare ormai si chiama Real Madrid.

Troppo poco, state pensando, per spingere una squadra alla vittoria? È qui che entra in gioco il piacere dell’attesa di Lessing. L’estasi creata si diffonde nella vita di una nazione: presto tutti sentiranno quella finale di Monaco come un obbiettivo collettivo, un sogno a cui possono tutti aspirare, non solo i giocatori e i tifosi del Bayern. Certo, non aspettatevi di trovare un tifoso del Borussia Dortmund con la sciarpa biancorossa al collo; ma il piacere dell’attesa invade il collettivo più importante: la maggioranza. Le signore che andranno a fare la spesa, di solito disinteressante dal calcio, compreranno bandiere del Bayern da appendere alle loro finestre, acquisteranno le salse da Barbecue con sopra stampato il logo dei bavaresi e presto, molto presto, tutti saranno inondati dal piacere dell’attesa. E con questa consapevolezza i giocatori del Bayern avranno la loro arma in più, quella spinta che potrebbe fare la differenza nel rettangolo di gioco, la spinta di una nazione intera.