ESCLUSIVA MP – Ezio Rossi: “Io non scendo mai a compromessi. Via i faccendieri dal calcio!”

Mondopallone ha quattro occhi, Mondopallone non trascura nulla. Viviamo il calcio a trecentosessanta gradi: le nostre esclusive con i tecnici di Lega Pro lo dimostrano. Proseguiamo imperterriti nello sviluppo di queste idee, convinti che privilegiare le sensazioni di tali protagonisti sia doveroso. Il sapore più dolce del “nostro” meraviglioso sport proviene dalle categorie inferiori, da gente che percepisce lo stipendio di un comune lavoratore e si sobbarca esoneri e critiche, amarezze e gioie. Il tutto condito da un solo ingrediente: la passione.

Abbiamo fatto un salto a Cuneo, città piemontese di cinquantacinque mila abitanti e capoluogo dell’omonima provincia. I cuneesi si batterono alla morte durante la Seconda guerra mondiale, rappresentando una delle più fervide realtà partigiane. La locale squadra calcistica, presieduta da Marco Rosso, è stata rifondata nel 2008 e solo nella passata stagione ha ottenuto il biglietto per la Seconda Divisione. Laureatasi campione delle serie D, la compagine biancorossa ha continuato a stupire anche nella nuova realtà: secondo posto e un punto di distacco dalla capolista San Marino. Girone A.

Sapete chi siede sulla panchina del Cuneo? Ezio Rossi. Un tecnico che, a modesto parere di chi scrive, meriterebbe una ribalta diversa, consona alle ventate di competenza sprizzate in giro per l’Italia. L’uomo che rischiò di trascinare, nel giro di tre anni, la Triestina dalla C2 alla A; l’ex allenatore del Torino, allontanato a due giornate dalla fine e con la squadra terza in classifica nel 2005. Rossi è una persona schietta, vera, un individuo senza peli sulla lingua e con una passione per il calcio che trascende qualsiasi tipo di palcoscenico. “Tuttosport” lo definiva pauroso, per via dell’eccessivo rispetto dimostrato nei confronti dell’avversario. Non era paura: era sincera stima per chi,come lui possiede una grande senso del lavoro ed ha imparato a non aspettarsi nulla dalla sorte. Un’intervista da vivere. Tutta d’un fiato!

Con tutto il rispetto per una società seria come il Cuneo, caro mister, trovo delittuoso che lei alleni in Seconda Divisione…

Nella mia carriera ho sempre fatto scelte particolari, che a qualcuno possono sembrare autolesioniste. A Cuneo vivo bene, ho tutto l’occorrente per svolgere al meglio il mio lavoro senza mettere da parte ciò in cui credo. Ho sempre incontrato delle difficoltà nella comunicazione e non sono un tipo che si fa comandare a bacchetta o si traveste da leccapiedi: a Cuneo sono il vero Ezio Rossi e nessuno me lo fa pesare.

Ha vissuto situazioni particolari a Grosseto e Gallipoli, dalle quali forse ne è uscito ridimensionato. Se tornasse indietro, cosa non rifarebbe?

Non rifarei la scelta di Grosseto, non ho dubbi. Quando andai a Gallipoli sapevo di trovare una situazione complicata, in quel caso prevalse la voglia di allenare; la recente storia dei maremmani la conosciamo tutti: basta vedere il numero di tecnici che negli ultimi anni si sono succeduti su quella panchina. Avevo la presunzione di voler cambiare la storia. Sono fatto in un certo modo, è vero, ma nella mia carriera sono stato esonerato quando al massimo ero settimo in classifica. Fatico ancora a comprendere molte cose.

Dalla C2 alla B con la Triestina, sfiorando poi una promozione nella massima serie che avrebbe avuto del leggendario. I suoi ricordi?

Trieste è la pagina più importante della mia vita professionale. Trovai un ambiente perfetto, pronto a sostenermi nelle decisioni che, per forza di cose, un allenatore deve assumere. Ogni persona avrebbe il diritto di sviluppare il proprio lavoro col tempo, bisognerebbe offrire al tecnico il giusto spazio per farsi conoscere come dipendente e come uomo. Ma nel calcio n0n funziona così: il numero degli esoneri cresce a dismisura. 

A Torino fu esonerato da terzo in classifica, dopo quaranta giornate. Quella promozione è sua?

Ovviamente! E sono persino stanco di ripeterlo: quaranta giornate alla guida di una squadra sono più che sufficienti per determinare un campionato. La promozione del Toro fu poi revocata, ma io annovero quella stagione tra le mie vittorie personali. Non chiedetemi però quali siano stati i motivi del mio allontanamento, visto che neanche il sottoscritto li conosce.

L’anno scorso si rimise in gioco nella Canavese, sempre in Seconda Divisione. Quanto fu difficile a livello mentale?

Ero stufo di attendere le solite occasioni, volevo dare un taglio netto al passato. Venivo da esperienze particolari, mi interessava solo allenare come piace a me. Posso dire oggi di aver compiuto la scelta giusta. Non importa la grandezza del contesto nel quale si opera: penso di aver già dimostrato quali siano le mie qualità.

Il suo Cuneo sta procedendo oltre ogni più rosea aspettativa?

Sicuramente, è proprio così. Ho trovato un gruppo all’altezza, affiatato e composto da validi calciatori. Ci ritroviamo lassù con merito, il nostro momentaneo successo è frutto del lavoro. Siamo la neopromossa ad avere più punti, anche se il Treviso è lì dietro; sarà una grande lotta per la promozione e, a parte le prime cinque, credo che anche compagini come Pro Patria e Santarcangelo possano inserirsi nella contesa. E’una Seconda Divisione palesemente migliore rispetto a quella della scorsa stagione.

Come mai?

La riduzione delle squadre ha inciso, inutile negarlo. Prima esistevano molti più club che, nonostante le scarse risorse, si iscrivevano ugualmente al campionato. La competitività ha acquisito punti nella scala dei fattori: noto un buon calcio e tanti giovani di prospettiva.

Il giovane rivelazione del torneo?

Lapadula del San Marino.

Chi teme particolarmente in ottica promozione?

Temo il San Marino perché, oltre ad essere l’attuale capolista, ha il calendario meno arduo da qui in avanti. Ripeto: non sarà semplice per nessuno, dalle retrovie potrebbero sbucare rivali insospettabili. Compagini apparentemente tranquille, inoltre, non regalano nulla alla concorrenza. Lo abbiamo visto noi stessi domenica scorsa, contro il Renate.

Il rombo non lo abbandona mai?

Ho adottato vari moduli in carriera, il rombo è stato quello base. Lo è anche oggi al Cuneo. Il sistema di gioco che prediligo, in realtà, è il 4 – 3 – 3. Raramente ho potuto attuarlo. Un allenatore deve essere duttile, bravo a conformare i propri metodi in base ai calciatori che si ritrova a disposizione. 

La figura del trequartista ha subito una mutazione negli ultimi anni: spesso viene mascherato come uomo di fantasia un incursore. C’è carenza di qualità?

Nel nostro torneo non credo, perché molte compagini si schierano con il classico trequartista. Il più bravo è Giannone della Pro Patria. In generale si è invece registrato questo cambio di tendenza, soprattutto nella massima serie. Penso al Chievo con Sammarco prima e Pinzi poi, all’Udinese di Guidolin e, in particolar modo, alla Roma di Spalletti. Il toscano è stato una sorta di pioniere in questo caso: ha dimostrato che si può giocare, e attaccare, efficacemente anche con una sola punta e tanti calciatori di movimento. Non dipende da una mancanza di qualità, si tratta solo di un’interpretazione diversa del calcio.

Un calciatore come Varricchio, all’interno di un gruppo giovanissimo, è fondamentale per il Cuneo. Concorda?

Certo, il valore di Varricchio è fuori discussione. E’abituato a palcoscenici diversi, possiede esperienza e fiuto del gol. Lui e Fantini sono i nostri attaccanti principali, gli altri gravitano alle loro spalle e rispondono sempre alla grande quando li chiamo in causa. Il gruppo mi soddisfa in pieno.

L’Inter ha appena presentato Stramaccioni, ennesimo allenatore alle prime armi a sedersi su una panchina importante. Perché questa moda?

Francamente non conosco Stramaccioni, quindi non entro nel caso specifico. Vedo parecchie società puntare su tecnici giovani, inesperti e che non hanno ancora dimostrato nulla; mentre, al contrario, gente navigata fatica a rientrare nel giro. Sembra che la praticità dello spogliatoio sia diventata una peculiarità negativa. In Lega Pro si scelgono gli allenatori giovani perché di questa figura ormai non importa più niente a nessuno: ciò è sbagliato, chi sta al timone di un gruppo dovrebbe forgiarsi di una rilevanza enorme. In serie B, invece, si compiono troppe scommesse azzardate, alcune palesemente illogiche. Risultato? Una miriade di esoneri.

Ma quali sono i problemi più grossi della Lega Pro?

I faccendieri! Si tratta di gente che il calcio non dovrebbe guardarlo neanche in tv, invece hanno carta bianca per fare e disfare come vogliono con le varie società. Le faccio una domanda: come è possibile che la stessa persona, dopo aver concretizzato il fallimento del Ravenna, abbia acquistato tre mesi dopo la Triestina e sia incappato in una sciagura simile?

Ce lo dica lei

I problemi sono sotto gli occhi tutti, eppure a nessuno viene in mente di modificare le regole. Una società con 35 – 40 giocatori in rosa, che non paga gli stipendi da ottobre, a gennaio acquista nuovi elementi sul mercato. Perché non glielo impediamo?

L’opinione pubblica trascura queste categorie?

L’opinione pubblica trascura un po’ chiunque, a meno che non si tratti di testate locali o specifiche. Si parla solo di Milan, Juve e Inter: io ormai le pronuncio attaccate, come se si trattasse di un unico nome. Ok il business, ma non possiamo diventarne schiavi. Prima chi nasceva a Torino era granata, i parmensi tifavano Parma e così via. Era un calcio più bello.