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ESCLUSIVA MP – Giovanni Bucaro, tecnico dell’Avellino: “Zeman è il mio primo maestro. Il calcio italiano presti maggiore attenzione alla Lega Pro!”

Avellino per concludere un percorso, Avellino per consacrarsi in nuove vesti. La vita professionale di Giovanni Bucaro è marcata indelebilmente dalla città irpina: in biancoverde concluse un’onesta carriera da difensore; quaggiù è ritornato a settembre per fare il salto di qualità da allenatore. Dopo le esperienze di Pomigliano d’Arco, Manfredonia e Torino (con la primavera della Juventus), l’ex allievo di Zeman nel Foggia dei miracoli ha raccolto la nuova sfida avellinese. Tanti giovani dalle buone prospettive, guidati da un tecnico amante del bel gioco. Il modulo, manco a dirlo, è il 4 – 3 – 3 appreso alla scuola del maestro boemo. Settimo posto nel girone A di Prima Divisione e una inconfessata speranza di approdare ai playoff.

Il calcio ad Avellino è una cosa seria, una passione collettiva che travolge qualsiasi evento. Salvatore Di Somma, ex difensore biancoverde ai tempi dei dieci campionati consecutivi in A, ricorda l’atmosfera vissuta nei giorni del tragico terremoto, quello che il 23 novembre 1980 devastò l’intera Irpinia. L’aneddoto svelato è struggente: “C’erano delle situazioni drammatiche, morti a terra, gente che tirava i propri parenti dalle macerie. C’è una cosa che però non dimenticherò mai. Una signora, a piazza Libertà, mentre piangeva i suoi cari mi disse: “Salvatore, hai visto che è successo? Però oggi che bella vittoria abbiamo fatto…”

Tempi dimenticati dal calcio italiano, i magnifici anni ottanta. Il periodo in cui le provinciali godevano il privilegio del sogno, della storia. Una nuova testimonianza stavolta tocca a Gianni Brera: “Questa squadra, l’Avellino, è la più bella realtà del calcio di provincia della storia italiana“. Chi non ha mai sentito parlare del brasiliano Juary? Uno dei pochi stranieri concessi all’epoca, e perciò passato ai posteri. Il fallimento e la serie D non hanno cancellato l’amore di una città diversa: giocare nell’inferno del “Partenio” non sarà mai facile per nessuno.

Vale la pena gettare un occhio sull’intervista al tecnico avellinese, un vulcano di idee e convinzioni. Giovanni Bucaro: parole da veterano della panchina. Quarantuno anni, del resto, non sono pochi.

Mister Bucaro, siete soddisfatti del campionato fin qui disputato?

Certamente, finora abbiamo fatto davvero bene. Se si considera come siamo partiti, cioè tra mille difficoltà e con un organico zeppo di giovani, il bilancio non può che essere soddisfacente.

I playoff distano cinque punti. Un pensierino agli spareggi lo fate?

L’obiettivo primario era quello di allontanarci il più possibile dalle zone basse della classifica. Adesso, visto che la meta iniziale è stata raggiunta, pensiamo a divertirci e a ricavare il massimo da ogni sfida. Domenica andiamo a Reggio Emilia: se dovessimo vincere…Non fatemi dire altro.

La sua squadra esprime un bel calcio, in alcune partite si è avuta l’impressione che a frenarvi fosse solo l’assenza del classico bomber. Concorda?

Non proprio: Zigoni e De Angelis, in due, hanno realizzato quindici reti. E non scordiamoci che si tratta di due ragazzi giovani, così come gli altri compagni di reparto. Ovviamente alcune formazioni possiedono attaccanti più esperti e smaliziati, questo è indubbio. Però rimango contento dei miei calciatori.

A proposito di Zigoni: è davvero, al contrario del padre, un ragazzo introverso?

E’ un ragazzo timido, molto educato e serio. Il talento non gli manca: gli auguro una grande carriera perché la merita, prima di tutto come persona.

Quali giovani del campionato le sono piaciuti particolarmente oltre a quelli che ha in rosa?

E’ un compito arduo fare dei nomi, questa Lega Pro ci ha regalato numerosi talenti. I premi per la valorizzazione, oltre alla crisi economica, favoriscono l’utilizzo dei giovani. Si tratta di una cosa positiva per il nostro calcio. Il più estroso, a mio avviso, è Falco del Pavia; al suo livello c’è Chiricò del Lanciano, nell’altro girone. Bravi anche quelli della Pro Vercelli: Germano, di proprietà della Juventus, Iemmello e Carraro.

In un torneo come quello di Prima Divisione, in cui tutto sommato l’equilibrio è forte, quanto è importante avere alle spalle una piazza calorosa come Avellino?

Si tratta di una variante che fa la differenza, non ci sono dubbi. Ovviamente deve essere la squadra a trascinare la gente allo stadio: noi, dopo una partenza difficile, siamo riusciti ad emergere e a ricreare il giusto entusiasmo in città. Al Sud il calcio è vissuto intensamente, c’è grande partecipazione. Avellino è speciale in questo, più delle altre piazze.

Cose le ha lasciato l’esperienza nella Primavera della Juventus?

Una stagione bellissima ma soprattutto importante: sono cresciuto come allenatore. Osservare i metodi di lavoro utilizzati da Del Neri è stato utile, mi ha permesso di ampliare le mie conoscenze. Ho avuto la fortuna di respirare l’aria del grande calcio, grazie al contatto con dirigenti del livello di Marotta e Paratici. Senza dimenticare le strutture moderne attraverso cui operavo.

Lei ha detto che i due anni a Pomigliano d’Arco, in serie D, sono stati decisivi per la sua carriera…

Allenare nella serie D campana non è mai facile. A Pomigliano abbiamo raggiunto un quarto e un quinto posto, i risultati migliori ottenuti dalla società nella sua storia. E’bello misurarsi in contesti del genere: la passione è la prima molla ad animare gli attori; le vittorie si ottengono solo grazie al sacrificio e all’amore nei confronti di questo sport. Un’esperienza che forma prima l’uomo e poi il tecnico.

Il suo Pomigliano detiene anche un record particolare…

Una volta segnammo dopo sei secondi: se non è il record assoluto poco ci manca.

Le sue squadre si schierano sempre col 4 – 3 – 3. Centra qualcosa essere stato allenato da Zeman?

Ovviamente! Zeman ti conferisce i concetti base del calcio, è un autentico maestro. Tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno trasmesso principi importanti, ma lui è diverso da chiunque. Inutile dirlo. Sono consapevole che quando si adotta una filosofia simile esistono i pro e i contro: ma a me piace interpretarlo così il calcio.

Da giovane allenatore ci dica quali colleghi della sua età stima particolarmente

Cito due miei ex compagni: Dionigi e Dal Canto. Stanno dimostrando entrambi di possedere la stoffa giusta per intraprendere una carriera importante. Posso aggiungere un’osservazione? I club maggiori si applicano molto nello scouting sui calciatori, giustamente. Alla Juventus me ne sono accorto ancora di più. Manca però lo stesso lavoro sui tecnici: credo ci voglia una maggiore attenzione agli allenamenti, la partita non esaurisce il tutto. Quando si sceglie un uomo per guidare la propria squadra, le conoscenze su quel soggetto devono essere profonde.

Ma secondo lei Luis Enrique sta innovando sul serio?

Stimo molto Luis Enrique, ci vogliono coraggio e competenza per portare avanti un certo tipo di calcio. Sono convinto che dalla sua esperienza ne trarrà giovamento l’intero sistema. E’ però indispensabile avere alle spalle una società come quella romanista: se perdi tre partite, in Italia, non sei più nessuno.

Ma per quale motivo gli allenatori del girone B dicono che il loro campionato è più competitivo?

Guardi, credo che il campo abbia dimostrato l’inesattezza di tali affermazioni. In estate sembrava così, la carta suggeriva un girone leggermente migliore dell’altro; la stagione del Trapani, invece, ha ribaltato ogni pronostico. Nessuno indicava i siciliani tra i favoriti: alcune compagini apparivano più attrezzate e ora sostano nei bassifondi della classifica. La settimana scorsa ho parlato con un esperto come Pavone, D.s. del Foggia, e mi ha confermato che l’equilibrio regna sovrano tra i due tornei.

Soddisfatto dell’attenzione che l’opinione pubblica dedica alla Lega Pro?

Si, molto. E’giusto così d’altronde: questi campionati sono una vetrina importante per i nostri giovani. Loro sono il futuro del calcio, non dimentichiamolo mai. Sinceramente non riesco ancora a comprendere il motivo per il quale si pesca sempre all’estero, quando invece le risorse sono dietro l’angolo. Le società maggiori dovrebbero affacciarsi con frequenza sul mondo della Lega Pro.

I problemi ancora irrisolti?

Il mondo attraversa una fase di profonda crisi economica, la quale non risparmia il calcio. Ovvio che le categorie inferiori siano quelle a pagare maggiormente le conseguenze di una tale involuzione: in tv ci sono partite ogni giorno, anche dei campionati stranieri. Lo spettatore preferisce i top club alle sfide di Lega Pro, è normale. Bisogna cercare di costruire con le poche risorse a disposizione, evitando di procedere oltre le proprie possibilità. I fallimenti annuali danneggiano l’intero movimento; una riduzione delle squadre rappresenterebbe la soluzione giusta. Credo che nella prossima stagione ci sarà terreno fertile per il cambiamento: non possiamo privare i lavoratori dello stipendio, così è tutto falsato.