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Oltre allo stadio serve anche il pubblico migliore

Ho sempre parlato bene dello Juventus Stadium, ritenendolo il primo esempio ad alto livello, in Italia, di programmazione per quanto riguarda lo sfruttamento degli impianti di gioco. Perché è facile dire di volere imitare il modello inglese o quello del Barcelona; più difficile mettersi con le mani nella pratica. A basso livello, molti anni fa, la Reggiana di Dal Cin si era comprata lo stadio: ne è uscita con debiti a non finire, per motivi facilmente intuibili (troppo basso l’interesse per una squadra di un capoluogo di provincia che conta su circa 170.000 abitanti).

Il caso dello Juventus Stadium, però, non si prestava certo a questa previsione, e per molti motivi. Il primo è che prima dello Juventus Stadium c’era il Delle Alpi: uno stadio che, come tutti quelli costruiti o rinnovati per Italia ’90, era vecchio già prima di essere inaugurato; che aveva la pista d’atletica (cioè, in linea di principio, non era “consacrato” al calcio); e soprattutto che era sovradimensionato, lasciando spesso la squadra bianconera con gli spalti vuoti per buona metà.

Ma veniamo alle note dolenti. A parte la stucchevole serie di commenti riguardo l’imbattibilità della Signora (in Coppa Italia contro il Milan, al 90° aveva perso, ma ha recuperato nei supplementari: come la mettiamo?), ci sono da notare almeno un paio di cose andate storte sempre in quella partita. Una riguarda la splendida coreografia (potete vederla qui): secondo una inchiesta di MilanNews.it, una coreografia a sostegno dei rossoneri non sarebbe stata autorizzata, e senza motivi evidenti; sarebbero state effettuate perquisizioni fuori dal consueto per impedirne l’arrivo; e pare che solo l’esasperazione dei tifosi milanisti abbia convinto gli steward di Torino a fare entrare gli striscioni di rappresentanza dei gruppi organizzati.

L’altra brutta notizia è in parte conseguenza proprio del fatto che lo Juventus Stadium non prevede una pista di atletica, portando il pubblico molto più vicino al campo. Direi (chiedo scusa in anticipo) «a portata di sputo». Vittima è stato Philippe Mexès in occasione di una rimessa laterale, ricevendo… tutt’altro genere di rimessa. Il francese ha anche inveito contro la tribuna, ma quello che colpisce, a oggi, è il fatto che non se ne parli. Due note sopra tutte hanno colpito la nostra redazione: bellissimo stadio, ma siamo pronti per una cosa del genere? Perché non c’è solo lo sputo a Mexès: c’è anche il pugno a Di Vaio, se vogliamo essere precisi. E poi: se tutto questo fosse accaduto al San Paolo di Napoli, a Catania o a Palermo, o anche soltanto a Roma? Viene facile immaginare un’ondata di indignazione molto più forte, con richieste di diffida o di Daspo per qualcuno.

Se vogliamo riabilitarci un attimo, però, possiamo consolarci con la finale di Europa League 2014, che si disputerà nella casa dei bianconeri: lo ha sancito un comunicato che ha seguito di pochi giorni la visita di un certo Michel Platini (che nei cuori juventini, comprensibilmente, è sempre qualcuno). Segno che il modello è buono, va solo perfezionato e seguito con più attenzione.
Era parecchio tempo che non si usciva dal binomio composto di Milano (Meazza) e Roma (Olimpico). Speriamo che questo faccia aprire gli occhi al movimento, e che FIGC e Lega finalmente capiscano che prima si fanno gli stadi, poi si ottengono le manifestazioni: perché se tra tre mesi si giocherà in Polonia e Ucraina, è anche perché questi paesi forse possono permettersi di proporre di migliorare gli impianti grazie alle manifestazioni, laddove se lo facciamo noi ci copriamo di ridicolo.