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Allargare gli orizzonti per restringere gli errori. Arbitri europei e via le polemiche

Un tempo erano le temute “giacchette nere”, oggi sono coloro a cui si ricorda di avere “più corna di un cesto di lumache” (egregia e nobile citazione, ovviamente). La categoria arbitrale, croce e delizia del pallonaro, del calciatore, del tifoso, dello sportivo, del giornalista, del “fantacalcista”: un’ammonizione, un’espulsione, un fuorigioco fischiato, e tutto cambia. Che sia la finale di Champions, la finalissima di un Mondiale, il trofeo Tim, o il tanto amato campionato, poca è la differenza di reazione scaturita da un’eventuale scelta sbagliata della quaterna: fischi e pernacchie, dita puntati contro gli occhi, accuse, movioloni, chiamate al sacrilegio nazionale.

Impossibile, in questi giorni, non citare le disavventure del povero Rocchi di Firenze. Se avesse l’opportunità di spostare nel cestino questa per lui nefanda annata, lui lo farebbe: Napoli-Inter, Udinese-Napoli, e via discorrendo: una serie di situazioni particolari che gli hanno fatto ricevere insulti da ogni parte d’italia, e che da “fuoriclasse dei fischietti” (perché fino a poco fa era un papabile candidato a dirigere la finale dei prossimi Europei) è diventato uno di quegli arbitri al cui nome partono una serie di riti scaramantici degni dell’Italia più tradizionale e folkloristica.

Ora, riguardo al discorso arbitri e alle varie reazioni, da obiettare, da discutere, ci sarebbe molto, ma effettivamente sarebbe inutile farlo: siamo nel Belpaese, il luogo in cui è una filosofia di vita trovare categoricamente il colpevole, e vivere di sospetti, e inneggiare al massacro mediatico, e creare plastici (uno di Rocchi a grandezza naturale no, eh), e cercare da qualche parte qualcosa, una prova concreta magari, che possa fare acquisire importanza a ciò che si sta affermando, così da sentirsi culturalmente elevati. E’ il Paese (meraviglioso, per carità) dei santi, dei poeti, dei navigatori e dei “tutti allenatori”, il cui pensiero calcistico è legge, e guai a confutarlo. Ragion per cui, l’arbitro, poverello, poco può fare per provare a uscire dalla spinosa situazione in cui vive: sarà per sempre, salvo alcuni casi di pura personalità (vedi Collina), il caprio espiatorio delle sconfitte, colui che da una parte o dall’altra è stato “comprato”, come la migliore delle meretrici. La soluzione? Allargare gli orizzonti. Arbitri europei per l’Europa, e non italiani per l’Italia. Sì, probabilmente l’etichetta di “cornuto”, al direttore di gara, resterebbe; ma almeno i nostri fischietti, in giro per l’Europa, seppur beccandoseli non sempre, gli insulti, li capirebbero…