Home » Roma, problema difesa. E se la soluzione venisse “da fuori”?

Roma, problema difesa. E se la soluzione venisse “da fuori”?

Progetto, pazienza e passione. In casa Roma, tutto sembra ruotare attorno a questi tre aggettivi che come comune denominatore hanno l’iniziale, la “p”, e l’arco temporale, decisamente lungo. Il primo, il “progetto”, già nel nome indica un qualcosa che va costruito nel tempo, con calma, ragionatezza, dedizione; la seconda, la “pazienza”, è la dote che nella Capitale giallorossa, di questi tempi, veramente non deve mancare, perché l’alternanza di risultati sta mettendo seriamente alla prova l’irritazione di una tifoseria unica nel suo genere ma che comunque vive di calcio e, si sa, nel calcio la memoria è piuttosto breve (si vince, tutti campioni; si perde, tutte pippe); infine, c’è la “passione”, e quella, sotto al “Cuppolone”, veramente non manca mai, ed è esattamente la chiave di volta, la caratteristica che fa sì che il “primo” abbia modo di essere attraverso la realizzazione della “seconda”.

A Trigoria c’è tanto fermento; la rivoluzione psicologica e tattica portata in estate da Luis Enrique, secondo gli addetti ai lavori, sta dando i frutti sperati; secondo parte dei tifosi e della critica li sta dando, ma piuttosto a rilento. Che la Roma stia iniziando a migliorare nel possesso è un dato visibile, evidente, basta guardare le statistiche. Ciò che preoccupa, invece, è che nonostante sensibili progressi c’è ancora un’organizzazione strategica piuttosto azzardata. Assolutamente non sommaria, sia chiaro: il tecnico catalano e il suo staff lavorano in maniera minuziosa, maniacale, su ogni dettaglio, ma allo stesso tempo, per quanto lavoro riescano a produrre, il gioco che si propone presenta sempre, e comunque, falle preoccupanti. Non tanto in attacco, dove di talento ce n’è a palate (Lamela, Borini, Bojan, escludendo ovviamente l’eterno Totti), e neanche a centrocampo, dove De Rossi garantisce la consueta solidità e su Gago e Pjanic c’è veramente poco da dire a livello tecnico; è in difesa che c’è invece qualcosa – molto – da rivedere.

L’alternanza di prestazioni del pacchetto difensivo è alquanto preoccupante: la Roma soffre decisamente le squadre che giostrano in ripartenza, regalando spazi e permettendo all’avversario di pungere, affondare come una lama nel burro soprattutto – e paradossalmente – per vie centrali, dove invece l’ossatura della squadra dovrebbe consentire una certa garanzia. Il dubbio è che tale carenza difensiva sia effettivamente una carenza “filosofica”. Nel senso: l’impressione – che nel corso dei mesi sta diventando una vera e propria certezza – è che le conoscenze di Luis Enrique e del suo staff in materia di difesa siano non carenti, ma alquanto inferiori a quelle che, in Italia, solitamente si hanno (non per caso siamo definiti “catenacciari”). E in un Paese in cui gli attaccanti sono bravi a scardinare le difese rocciose, trovarsi di fronte una retroguardia più che ballerina è una vera e propria manna dal cielo.

Ecco: su questo la Roma dovrà lavorare, e dovrà saperlo fare bene. Magari, chissà, ispirandosi al football americano, dove c’è un allenatore per ogni reparto: affidare la retroguardia giallorossa a uno specialista non sarebbe un’eresia. Vorrebbe dire bagnarsi d’umiltà per rendere più solida, più compatta, una squadra che deve iniziare ad avere sicurezza nei propri mezzi. Soluzione, questa, comunque alquanto improbabile, e lo sappiamo tutti; ma è solo una delle tante ipotesi che vengono naturalmente alla testa quando si vede una squadra dalle enormi potenzialità essere bucata per una paradossale, e a tratti goliardica, incapacità di saper difendere ciò che dovrebbe essere protetta con carattere: se stessa.