Soltanto qualche decina di anni fa, Italia-Usa avrebbe voluto dire i grandi del calcio contro una massa di discepoli arrugginiti. Da un po’ di tempo, però, le cose sono cambiate, e dall’altra parte dell’Oceano la cultura del Football dalla palla rotonda, o Soccer che dir si voglia, si è sviluppata incredibilmente. Al Mondiale 2006 abbiamo avuto già una prima consapevolezza di ciò che stava accadendo: noi ci laureiamo campioni del mondo, loro sono gli unici a fermarci su un pareggio beffardo, scaturito da un’autorete ancor più beffarda. Passano gli anni, quasi sei per la precisione, e quel pareggio si tramuta in una meno importante, ma comunque appariscente, sconfitta: loro vengono qui, nella bellissima cornice di un Marassi non gremito, purtroppo, e ci infilano con un fendente di Dempsey, che fa male come un gancio destro in un incontro di boxe noioso per tutte e dodici le riprese.
Poco mordente, tanto fumo, buona voglia, molta curiosità, troppa ingenuità. L’undici di Prandelli – seppur rivoluzionato un po’ per necessità un po’ per scelta – è apparso confusionario, spento nelle idee, spinto dalla comunque evidente fame di (e fretta di fare) gol ma effettivamente spuntato lì davanti, dove ha però provato a mettersi in luce Borini nel finale, con qualche guizzo dei suoi e qualche tiro anche sfortunato. D’altronde esordiva; d’altronde voleva farsi vedere; certo, se l’avesse anche messa in fondo al sacco tutto sarebbe stato più bello. Male Giovinco, avvolto in una fitta e misteriosa nebbia che gli ha offuscato la fantasia, poco graffiante Pazzini. Bene, invece, Ogbonna sulla sinistra: ottima spinta, buona fase di copertura, notevole numero di cross – qualcuno azzeccato, qualcuno un po’ meno – offerti per la testa poco calda degli avanti azzurri; adeguato equilibrio, insomma, tra retroguardia e attacco. C’era molta curiosità anche sul suo conto, lui ha saputo rispondere con personalità, dimostrandosi un elemento valido, tenace, su cui poter fare affidamento in futuro. Anzi, nell’immediato futuro perché, oramai, gli Europei sono alle porte.
Certo, l’Italia è ancora in rodaggio, ma se si considera che il migliore in campo sia stato l’unico giocatore di questa selezione che milita in Serie B, qualche pensiero, anche curioso, nasce nella testa. Che nella nostra nazionale ci sia bisogno di meno primedonne e più operai? Che serva più quantità, più brio, più freschezza che esperienza? Che la tecnica debba unirsi alla grandissima (e soprattutto CONCRETA) voglia di difendere i colori azzurri, e debbano prevalere, unite, queste caratteristiche? Probabilmente è così. Fuori il cuore, dunque, e la passione, e il carattere, e la concretezza. L’Italia è una maglia, un paese, una cultura da onorare. Chi dovrà farlo, d’ora in avanti, dovrà essere consapevole dell’importanza, della storia, del blasone, della divisa che indossa. Lo si afferma adesso, questo, perché lo si dovrà attuare presto, nell’immediato: c’è un Europeo da giocare, e un onore da difendere. Chi scende in campo dovrà essere CONVINTO. Che giochi in A, B o C, poco importa. L’importante è che si senta, e faccia sentire tutti quanti, dei “grandi” di un calcio che ci appartiene. Nell’anima.