Home » L’importanza di essere Buffon

Mi scuserà Wilde per la licenza che mi sono preso nel riadattare il suo «The Importance of Being Earnest» nel titolo di questo articolo, ma è proprio nel parallelismo Ernesto/Onesto-Buffon, sull’importanza che ha un nome e il ruolo che si rappresenta, di cui andrò a trattare.

Si sono spesi fiumi di inchiostro, abbiamo riempito pagine di parole e parole per lodare Farina e Pisacreta, i due giocatori definiti eroi per avere dato il via, con la loro denuncia, alle operazioni sul calcioscommesse; per essersi quindi, di fatto, comportati nella maniera consona, normale, che la circostanza avrebbe richiesto.

Si è dato risalto al loro gesto perchè, con amarezza, definito l’eccezione e non la regola, spargendo inviti (a volte a solo uno, altre entrambi) a cerimonie e serate di gala, come la premiazione per il Pallone d’Oro e il Gran Galà del Calcio. Si è arrivato anche a convocarli in Nazionale, con la scelta di Prandelli di volerne valorizzare il gesto per mandare un segnale forte sia al movimento, sia alle nuove generazioni, per un calcio più Onesto e più pulito, con l’intento e la speranza che in futuro gesti simili risultino la norma, non la deroga.

Lo stesso Prandelli ha addirittura introdotto in Nazionale un codice etico, una sorta di regolamento di buona condotta che – in caso venga violato – porta all’esclusione o alla non convocazione in maglia azzurra. Chiaramente tutto molto condivisibile: è giusto che i calciatori diano il buon esempio, a maggior ragione se rappresentano la nazione stessa e indossano la maglia dell’Italia.

Poi, però, al termine di un Milan-Juve tra i più caldi e chiacchierati degli ultimi anni, ascoltando le dichiarazioni di uno dei protagonisti, sia dell’incontro e sia dell’episodio più discusso, le belle parole spese mi son sembrate, appunto, solo parole. I dubbi mi assalgono: ascoltare Gianluigi Buffon (campione del mondo, capitano e portiere della nostra nazionale) che, intervistato, sia ai microfoni Rai che a quelli Sky afferma: «Non me ne sono reso conto e sono onesto nel dire che se me ne fossi reso conto non avrei dato una mano all’arbitro» mi ha davvero colpito, per non dire deluso.

Sarò un romantico, un illuso o, forse, più probabilmente uno stupido, ma la naturalezza con cui il numero 1 nazionale ha ammesso che avrebbe ingannato l’arbitro (oltre all’assurdità che, nell’ammetterlo, possa ergersi a “onesto” della situazione), mi ha riportato con i piedi per terra, disilludendomi di quel sogno e di quei cambiamenti che i gesti di Farina, di Pisacreta e di Prandelli sembravano portare.

E ancor di più il vedere i vari intervistatori non batter ciglio a tali affermazioni, quasi senza accorgersi della gravità di tali frasi perché, appunto, rappresentano la regola, non di certo l’eccezione. Aiutare l’arbitro, evitare che in una partita si commettano errori che pregiudicano, cambiano, falsano il risultato dell’incontro è l’eccezione. La regola è il silenzio o, perchè no, il mentire se l’arbitro domanda. In fin dei conti, come ha aggiunto Buffon, sorridendo, «non è pronto per la beatificazione».

«Peccato, Gigi» avrei risposto io, davvero peccato, perché avremmo volentieri tutti parlato di una nuova eccezione, esaltando il gesto, promuovendolo e mostrandolo fieri al mondo intero, perché compiuto dal giocatore che più ci rappresenta: il capitano della nazionale italiana. Sarebbe stato bello far vedere ai giovani, ai ragazzi, che si avvicinano allo sport e al mondo del calcio, quale sia il comportamento da seguire, l’atteggiamento che uno sportivo dovrebbe tenere, la condotta che ci piacerebbe vedere applicata nel calcio, e non solo.

Invece… invece a raggiungere i milioni di giovani che, come me, hanno ascoltato o letto le dichiarazioni di Buffon, è il messaggio che il ‘fesso’ aiuta l’arbitro, che non va mai consigliato, ma ingannato; che nell’essere onesti, realmente caro Gigi, si diventa beati, mentre nel non esserlo, beh… si finisce a mala pena criticati da un signor nessuno 28enne, sulle pagine virtuali di un piccolo portale di informazione calcistica.

Oggi il calcio italiano ha perso una grande occasione di crescita e, benché possa sembrare che con queste mie parole io voglia puntare il dito solo su Buffon, la colpa è di tutti noi, non certo solo sua.

Dopotutto, anche Gigi è solo la norma, non di certo l’eccezione.