Il signor Monti ha detto ‘no’! Sbagliato perché…Costruire nuovi stadi la nostra ancora di salvezza

Il signor Monti ha detto no! Questa la frase più in voga nella giornata di martedì. No alla candidatura italiana all’organizzazione delle Olimpiadi del 2020. Il primo ministro italiano ha alzato bandiera bianca prima ancora di schierare il suo esercito e iniziare la battaglia. Si perché, ora ci tocca sentir dire – per certi versi è anche comprensibile – che il sior Mario ha preso la decisione più appropriata, quella più utile, per il bene del paese. Vero, tutto vero, ma se si guarda dall’altra faccia della medaglia è assai facile intuire, che tale scelta è principalmente una sconfitta dell’Italia intera, in particolare del calcio italiano. Rinunciare è di per se una sconfitta, rinunciare perché poi qualcuno possa sfruttare a proprio vantaggio un qualcosa, è tragicamente un fallimento. E di fallimenti e rinunce il nostro bistrattato calcio n’è pieno fin sopra i capelli. L’occasione delle Olimpiadi sarebbe stata quella giusta, ideale per ridare credibilità al tanto amato tricolore, distrutto dall’incapacità dei nostri politici e dei nostri dirigenti.

Occasione per ridare sviluppo territoriale e per pensare finalmente alla costruzione di nuovi stadi, nuovi impianti all’altezza della fama del calcio italiano, sempre più nell’oblio, annichilito da scandali su scandali, tra partite truccate e gare sospese, dove le pay-tv la fanno da padrone. Costruire per ricostruire, questo sarebbe dovrebbe essere il motto principale dei vari Galliani e Moratti, sempre più alle prese a prender in giro tifosi e stampa, che a guardare invece il futuro gestionale e commerciale delle proprie società. Sentirsi dire ogni giorno che il problema degli stadi è un grosso male del nostro calcio, e poi non agire per correggere questa grave lacuna fa veramente ridere i polli. Perché avere un proprio impianto sportivo significa essere al passo coi tempi: in ritardo sicuramente rispetto a Germania e Inghilterra, dove ogni squadra, persino la più piccola, ha un suo stadio di proprietà, il quale genera fonti di ricchezza che quelli in affitto – vedi il Meazza – non generano.

Per fortuna in questo senso la Juventus ha saputo muoversi: il suo ‘Stadium’ è davvero l’unica goccia nell’oceano, da prendere ad esempio per il futuro, inteso come domani, non fra cinquanta o cento anni. Perché vedere questi stadi – come quello di Bari, nell’articolo pubblicato nei giorni scorsi dal collega Gianluca Grasso – è un qualcosa che fa rabbrividire. Svegliamoci cari dirigenti, progettate e realizzate, il tempo e i soldi, attraverso magari delle produttive partnership commerciali, si trovano se si vogliono trovare. Senza però chiedere l’aiuto del Governo italiano, impegnato sicuramente in cose ben più importanti: ai nostri politici tocca costruire scuole e ospedali, non strutture commerciali a petrolieri o imprenditori. Sono le società a doversi impegnare in prima persona per ridare smalto e immagine a se stessi: gli stadi di proprietà sono una delle strade migliori, forse la migliore in circolazione. E allora che si diano una mossa i cari vecchi dirigenti del calcio italiano, presto però, perché avanti a noi non ci sono solo le famose e ultra citate Germania e Inghilterra, ma anche Giappone, Stati Uniti e buona parte dell’Europa dell’est, Russia in primis.

Il calcio italiano rischierà nei prossimi anni di diventare un deserto, con la speranza che il caro vecchio Antoine de Saint-Exupéry durante la sua citazione “Ciò che rende bello il deserto, è che da qualche parte nasconde un pozzo“, non fosse alla ‘festa del vino’ di Bordeaux.

 

 

RAFFAELE AMATO             Twitter @6RA9

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Raffaele Amato