La filosofia del 3 – 4 – 3: a un livello del calcio è vincente
“Se questo sistema di gioco viene interpretato correttamente, il portiere non serve”. Parola di Alberto Zaccheroni, uno dei profeti del 3 – 4- 3, unico allenatore a vincere uno scudetto con tale modulo, generalmente ritenuto poco consono alle ambizioni di un grande club. L’attuale commissario tecnico del Giappone ebbe il coraggio di proporlo nel Milan, stagione 98 – 99. Lo Zac a Udine aveva incantato l’Italia con quel calcio sbarazzino, nato un po’ per caso in una trasferta torinese al cospetto della grande Juve di Lippi. Era il 13 aprile 97: neanche un quarto d’ora e il romagnolo si ritrova in inferiorità numerica per l’espulsione del belga Genaux, terzino destro nel suo 4 – 4 – 2; è il momento opportuno per dare sfogo a un esperimento mai attuato. La difesa rimane con tre uomini, i quattro centrocampisti corrono come matti in copertura e in appoggio delle due punte (ovviamente tre nelle sfide successive). I friulani vinsero tre a zero, l’anno dopo si classificheranno terzi. L’esperimento era riuscito.
Recentemente, nella massima serie, ci ha fatto divertire molto Gianpiero Gasperini con il suo frizzante Genoa, ma la vera svolta per l’universo del 3 – 4 – 3 nasce dalla Lega Pro. Girone A di Prima Divisione: in testa la Ternana di Mimmo Toscano con 48 punti, dietro il Taranto di Davide Dionigi a 47; entrambi giovani, propositivi, segugi del sistema zaccheroniano. Il primo vanta una doppia promozione dalla D alla C1 con il Cosenza, con il quale non ha potuto dar seguito al progetto a causa di pesanti problemi finanziari della società calabrese; Il secondo, ex attaccante rapace, ha iniziato ad allenare direttamente in Puglia, appena appesi gli scarpini al chiodo. Il Taranto è la migliore difesa d’Italia, solo 7 i gol subiti. Vuoi vedere che la sentenza di Zaccheroni non è infondata? Scendendo poco più giù, in Seconda Divisione, troviamo Ciccio Cozza, ex fantasista e bandiera della Reggina, un talento puro in campo. Adesso allena il Catanzaro, mantiene la vena creativa anche nel nuovo incarico e occupa la seconda posizione in classifica, da questa stagione valida per il salto diretto di categoria. Come gioca Cozza? 3 – 4 – 3, ovvio.
Il torneo passato di C1, invece, ha visto trionfare la Nocerina di Gaetano Auteri, fedelissimo del modulo, mentre i playoff sono stati aggiudicati dalla Juve Stabia di Piero Braglia. Due realtà campane, tifoserie caldissime, le quali non gustavano l’ebbrezza della serie cadetta da mezzo secolo. Braglia si è convertito ora al 4 – 4 – 2, essendo sempre stato un tecnico elastico, l’ostinato Auteri non demorde dalle sue convinzioni pur recitando il ruolo di fanalino di coda. Ma a Nocera Inferiore, nonostante tutto, ci si diverte. E quanti ce ne sarebbero ancora (tipo Paolo Stringara, oggi a Foggia), magari non vincenti però certamente belli e artigiani, insegnanti di calcio prima che allenatori. Perché la realtà è questa: per impostare in un certo modo la squadra bisogna educare i giocatori, affinarli dal punto di vista tecnico e fisico. Non si tratta di fare il compitino, sperando nell’invenzione del singolo, piuttosto si va alla ricerca di una manovra corale, di un’orchestra in cui ognuno può improvvisarsi direttore.
I grandi club debbono vincere, scendono in campo tre volte a settimana, non possiedono il tempo per un determinato lavoro. E poi necessitano di uno spartito più sicuro, capace di sopperire alle lacune individuali con la solidità. In Lega Pro è sicuramente meno arduo il tentativo di impostare un calcio diverso: cambiano le pressioni, gli impegni e le metodologie di allenamento. Al contrario di Allegri, Dionigi ha il compito di creare delle sicurezze invece che intaccarle. Se poi ottiene la promozione, entusiasma la gente e non prende mai gol, possiamo solo applaudire con gioia perché la vera libidine, tanto per dirla alla Ventura, è ottenere il massimo risultato attraverso il massimo spettacolo. Chi non lo vorrebbe? Zaccheroni dopo lo scudetto di Milano non si è confermato, addirittura ha deposto spesso il suo amato 3 – 4 – 3; eppure incute sempre il fascino del grande maestro, lui stesso mostra tranquillo una spavalderia nelle dichiarazioni a detta di molti eccessiva. Sembra un piccolo sosia di Sacchi, prigioniero del passato e senza futuro. Succede agli scalatori del calcio una volta raggiunta la cima dell’Everest: ha più senso, dopo, avventurarsi in nuove escursioni?