Città del Messico, 25 gennaio 2010. In un bar della capitale centroamericana, Salvador Cabañas, attaccante della squadra messicana dell’America e della nazionale paraguayana, viene colpito alla testa da un proiettile che gli rimane conficcato nel cranio.
Il calciatore viene subito trasportato in ospedale e sottoposto ad una delicata operazione che gli salva la vita, ma la pallottola, fermatasi nella parte posteriore della testa della punta, non può essere rimossa chirurgicamente, rimanendo lì, immobile, come fosse parte integrante del corpo di Cabañas.
Comincia il recupero: passano le settimane, i mesi, un anno. Il giocatore dell’albirroja, assistito dai medici e dai familiari, miracolosamente torna alla “vita normale”. Un’esistenza, tuttavia, condivisa con quel pezzo di piombo ancora fermo nel suo cranio, come un monito indelebile di una disavventura difficile da raccontare, complessa da spiegare.
Per i dottori, la pallottola nella testa non mette in pericolo la vita di Cabañas. Essa è lì, inerme, ma terribilmente presente. Il paraguayano, dopo i primi timori post operatori sul recupero delle funzioni vitali, non solo torna a camminare con le proprie gambe, ma il 10 agosto 2011, in uno dei templi del calcio internazionale, lo stadio Azteca di Città del Messico, Salvador allaccia le scarpette, indossa maglietta e pantaloncini e torna a giocare a calcio.
L’occasione è una partita amichevole tra le due squadre che l’hanno visto protagonista durante la sua carriera: la nazionale del suo paese, il Paraguay, e l’America, la compagine con cui giocava al momento del suo attentato. Un fatto eccezionale, gridarono in molti, un evento.
Il bello, però, doveva ancora venire. Oggi, 20 gennaio 2012, a poco meno di due anni di distanza da quel terribile giorno in quel bar, Cabañas è di nuovo un calciatore professionista a tutti gli effetti. L’attaccante ha sottoscritto un contratto che lo legherà al club di serie B paraguayana del 12 de Octubre, società nella quale, tra l’altro, il giocatore aveva esordito.
“Siamo felicissimi. Abbiamo sempre creduto che il sogno si potesse avverare, e oggi, dopo l’ok dei medici, possiamo finalmente esultare”, le parole della moglie intervistata da un quotidiano locale. Miracolo sportivo, dunque, per un uomo, prima che un calciatore, che ha dato dimostrazione che con la forza di volontà e l’impegno non ci sono traguardi inarrivabili. Anche con una pallottola in testa.