La Serie A e l’erba del vicino latino

L’italiano medio è esterofilo, si sa. Probabilmente non se ne rende neanche conto: discetta amabilmente dei programmi per il week end mentre fa shopping con una escort, mentre la sua body-guard discute di gossip con una hair-styler. Posso compatirlo: non sarebbe lo stesso se discettasse dei programmi per il fine settimana facendo compere con una prostituta mentre la sua guardia del corpo scambia pettegolezzi con una sciampista. (Come i redattori sanno bene, io aborro l’uso di termini stranieri inutili, e non ne faccio mistero. Qualcosina ci può anche stare, ma non dimentichiamoci che non vogliamo essere di moda. Pardon, volevo dire fashion.)

Venendo al calcio, spesso ho inneggiato al modello-Barça, e non lo rinnego. Non per altro: perché ritengo ancora che siano gli unici ad averlo, un modello, e lo perseguono da almeno 15 anni (il tempo di tirare su una intera generazione di calciatori, dai pulcini alla prima squadra). E spesso e volentieri ho detto ciò che penso del calcio italiano: anche di recente ho criticato il recente malcostume di snobbare le coppe europee secondarie (prima l’UEFA, ora l’Europa League), con le conseguenze che sappiamo. Ma la domanda è questa: all’estero, poi, come stanno davvero? In altre parole: l’erba spagnola, per dire, è davvero più verde della nostra?

Per un Ibrahimović che ritorna, un Alexis Sánchez se ne va, tanto per cominciare. È anche vero che ad andarsene dalla Liga sono davvero pochi. È sufficiente per farne il campionato migliore? No, ma è comunque un fattore che aiuta. Da noi mancano Capello e Ancelotti, in Spagna hanno Mourinho e Guardiola. Anche questo aiuta. I nostri stadi sono vecchi e superati, mentre un Barcelona (e non solo, in tutta Europa) ricava cospicue entrate anche con uno sfruttamento complessivo del Camp Nou lungo tutta la settimana. Le squadre spagnole sono fortemente indebitate, ma anche noi abbiamo i nostri scheletri nell’armadio. (Chi si ricorda ancora del decreto spalmadebiti? Era il 2003: vorrei solo ricordare che ai tempi Mario Monti era ancora commissario europeo alla concorrenza.) Da noi abbiamo società gloriosissime a livello internazionale (le due milanesi e la Juventus), ma non è che il Real Madrid e il Barcelona siano proprio di un livello inferiore, anzi.

Se invece, e qui chiudo, prendiamo come termine di paragone la spettacolarità del campionato, beh, non c’è paragone. Occhei, anche da noi per trovare una squadra che esca dall’asse Milano-Torino dobbiamo rientrare indietro fino al 2001, con la Roma che succede alla Lazio; in Spagna, invece, il Valencia ha vinto nel 2004 (ma se vogliamo togliere la squadra valenciana, che è stabilmente una terza forza, dobbiamo tornare al 2000, col Deportivo). Ed è anche vero che se da noi le fantastiche tre vanno a podio poco più di una volta su due (sono tutte attorno al 60%), la diarchia Real-Barça è pericolosamente vicina alle tre volte su quattro. E poi, volete mettere quel filo di incertezza in più con la certezza che saranno quelle due, troppo più forti, a giocarsela? Le abbiamo viste, le squadre di prima fascia spagnole: Siviglia, Valencia, Villarreal, negli ultimi anni; ma sempre a distanza siderale da quelle due. Lo stesso presidente del Siviglia, José María Del Nido, a inizio stagione ha tuonato: «Nuestra Liga es la mayor porquería del mundo. Dos clubes sustraen el dinero de la televisión de los demás», seguito a ruota dal collega Roig, del Villarreal: «La brecha económica está matando al fútbol español».
Sì, non è la più spettacolare, non ha i campioni più grandi, non è la migliore nel vendersi come prodotto; ma la Serie A, con tutti i suoi difetti, se la batte ancora con tutti, ad armi pari; proprio perché i difetti li hanno tutti. E se solo noi ne fossimo consci, sapremmo anche dove e come intervenire fattivamente.

Post scriptum. Mi piace chiudere, però, pensando ancora una volta a Simone Farina, difensore del Gubbio. Un uomo normale, professionale, con una sua dignità (perlomeno, questo è ciò che traspare). Invitato allo stesso banchetto di un certo Lionel Messi, direttamente dalla penisola iberica. Che ci faceva lì? Ferma restando la stima per il ragazzo, mi viene da pensare che l’ultima cosa che desiderava era di venire spettacolarizzato anche lui («Io e Farina non siamo eroi»,ha dichiarato Fabio Pisacane, altro caso di calciatore probo). Le buone azioni devono mantenere un profilo basso, per definizione. Stimiamo Farina, sentiamolo anche vicino a noi, ma senza innalzare statue all’Uomo Normale. È solo la sterile retorica dei nostri tempi. Ma gli esempi non si sbandierano: si imitano, in silenzio. E Farina è il primo a saperlo.

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Pietro Luigi Borgia