Mondo, brevi dal 2011

Sette giorni fa ho accennato brevemente a cosa è stato il 2011 in Italia: un anno controverso, con un campionato in difficoltà (ma con qualche campione di ritorno) e una Nazionale che promette bene (le intenzioni e le aperture ci sono). Non immaginavo certo che proprio sotto l’albero avremmo trovato non solo un Simone Farina, quanto le confessioni di Gervasoni e di Doni. Doni sotto l’albero, potrei dire. Lo faceva per amore della squadra, bontà sua.

Aggiornato l’editoriale precedente, possiamo chiudere i conti con il 2011 parlando di tutto quello che è successo nel resto del mondo. Beh, chiaro, quasi tutto: è insito alla natura dell’informazione il fatto di semplificare. Scegliamo tre-eventi-tre da ricordare in un 2011 da archiviare. Proviamoci.

1. È più che altro una nota di colore, ma a metà luglio per la prima volta una squadra asiatica ha vinto una competizione per professionisti. Parlo del Giappone in rosa, dei Mondiali di calcio femminile. L’Italia non c’era, e le corazzate erano la Germania ospitante (nonché bicampionessa in carica) e gli Stati Uniti (però a secco dal 1999, quando Brandi Chastain si guadagnò i suoi warholiani 15 minuti di celebrità segnando il rigore decisivo nella finale contro la Cina, per poi festeggiare sfilandosi la maglietta: qualcosa più di 15 minuti, e la copertina di Newsweek e di Sports Illustrated, in realtà).
Ma dicevamo del Giappone: una cenerentola, una favola. Sempre eliminata al primo turno (tranne nel 1995, quando venne ripescata nei quarti), ha macinato il calcio più efficace, risultando sconfitta solo nella partita (ininfluente) contro l’Inghilterra (2-0), lasciandole il primo posto. Poteva essere un guaio, perché nei quarti toccava la Germania: e invece è stato il passaggio del testimone (1-0 con supplementari al cardiopalma). Poi sotto con la Svezia (3-1) e finalissima contro gli Stati Uniti, che se non vincono un Mondiale femminile da 12 anni, sono pur sempre i campioni olimpici in carica. Bene: sopperendo con la tecnica e la grinta allo strapotere fisico degli USA, i parziali dicono 1-1 al 90°, 2-2 al 120°, 3-1 ai rigori. Homare Sawa capocannoniere con 5 gol, e migliore giocatrice del torneo. E dire che a causa del terremoto e dello tsunami conseguente, per poco non avevano rinunciato a partecipare. Da incorniciare.

2. Non lo dirò mai abbastanza: mi piace l’Uruguay. Come squadra, come spirito, come malizia. Con quella capacità unica di giocare carichi, attenti, predicando un calcio concreto eppure (a larghi tratti) gradevole, almeno per me. Però non basta: bisogna portare anche a casa i risultati.
E qui arrivano un certo Óscar Washington Tabárez e un destino particolare. Del Maestro, come viene chiamato in patria, sappiamo già abbastanza; il destino ha fatto sì che, sia nei Mondiali sudafricani del 2010, sia nella Copa América di quest’estate, Brasile e Argentina abbiano deciso di farsi del male da sole, spalancando le porte del successo ad un manipolo di ottimi giocatori con la maturità dalla propria parte (ma non abbastanza maturi da essere vecchi, né appagati). Una squadra che vola, ma con i piedi per terra. Da applauso.

3. Inutile girarci intorno: il Barcelona è la squadra più forte dei nostri tempi. Un esempio per tutti, una scuola. Non mancano i mezzi economici, ma soprattutto c’è un calcio spumeggiante a fare da marchio di fabbrica. È un prodotto da esportazione, il Barça: una squadra corta (fatta di 18-20 effettivi più un manipolo di giovinotti futuribili), costruita essenzialmente in casa, con qualche innesto di assoluta qualità e qualche cavallo di ritorno (lo è stato Piqué, lo è Fàbregas). Soprattutto con il coraggio di proporre: proporre calcio, proporre gioco, proporre tecnica, proporre gioventù.
È quantomeno curioso osservare come tutti, ogni anno, parlino di «progetto», e poi siano sostanzialmente incapaci di costruire a lungo termine. Perché è questo che fa il Barcelona da almeno quindici anni. Si alternano gli uomini al comando, i presidenti, gli allenatori, ma l’impostazione rimane costante, ridiscussa ogni volta quel tanto che serve per adattarsi agli uomini e ai tempi. Dal 2006 a oggi, 4 campionati, 1 Coppa di Spagna, 4 Supercoppe spagnole; più 3 Champions, 2 Supercoppe europee, 2 Campionati del mondo per club: se vi pare poco. Standing ovation, e tutti a ripassare.

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Pietro Luigi Borgia