2011: un bilancio italiano

Il 2011 è stato il 150esimo anno dell’Italia unita: non siamo i primi a dirlo, non saremo neanche gli ultimi. Ma che anno è stato per il nostro campionato e per la nostra nazionale?

Il nostro campionato ha visto affermarsi la bella favola del Milan di Allegri, in primavera; e non possiamo che inchinarci al ritorno di Ibrahimovic, raro caso di campione di ritorno. Sì, perché anche questa estate abbiamo lasciato andare via, per dire, un Alexis Sánchez. E abbiamo esportato anche Eto’o, Pastore, Zapata, Ménez, Sirigu, Criscito, giù giù fino a Rafinha al Bayern. Comunque sia benvenga Ibracadabra, soprattutto per i tifosi dei colori rossoneri (nerazzurri e juventini, viceversa, non hanno apprezzato). E ben venga adesso la favola della Juventus di Antonio Conte: per la prima volta dopo Calciopoli (o forse solo Moggiopoli, visto come è finita), finalmente la vecchia Signora ritorna dove il blasone vorrebbe. Nella speranza, però, che stavolta non sia Scommessopoli a metterci il becco. Sarebbe una beffa.

Il 2011 è stato anche l’anno che ha sancito la fine del quarto posto in Champions: come ho già spiegato due settimane fa, non è neanche detto che sia un male, e in ogni caso è giusto che abbia di più chi si impegna di più (e le italiane, in Europa League, hanno sempre latitato). Dopotutto, nel 2010 solo la vittoria dell’Inter nella Champions ha prolungato le nostre speranze per un anno. Non poteva cambiare tutto in soli dodici mesi. Per adesso, comunque, il 2011 ci lancia in avanti con due squadre, Udinese e Lazio, attrezzate bene alla bisogna; sfortunatamente, dalla Champions sono venute fuori anche le due di Manchester, e non sarà una passeggiata.

Non sarà un anno da ricordare per Devis Mangia e Alberto Malesani, che il panettone lo mangeranno a casa; e non sarà un anno da ricordare neanche per un Antonio Cassano che sembrava finalmente recuperato alla causa. Rigenerato, efficace senza perdere il proprio estro, e finalmente con una grande opportunità in una grande squadra. Oltre alla nazionale, ovviamente.

Se c’è infatti, nonostante tutto, una nota positiva, potrei dire che i Prandelli Boys sono la nostra speranza: e non tanto perché il Commissario tecnico dichiara: «Non firmo per il quarto posto agli Europei. Voglio sognare, e partiremo con questo sogno», quanto per la ritrovata armonia tra la squadra nazionale e le squadre di club, per l’intenzione di giocare un calcio diverso da quello consueto, e per essere finalmente riuscito a unire il tifo per gli azzurri dopo un’epoca vincente e controversa. Si dice sempre che gli italiani recuperano il proprio amor patrio solo per la nazionale: e allora andiamo avanti così, nella speranza di recuperare almeno Giuseppe Rossi, che a fine ottobre ci ha rimesso un crociato, e di non dovere rivedere tutti i programmi. Nella speranza di potere tifare, uniti, il gruppo migliore.

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Pietro Luigi Borgia