Champions: italiane 3-0 e palla al centro
Cipro, con l’Apoel Nicosia, va avanti in Champions League, e questa è già una notizia (qualcuno può storcere il naso pensando a quanti brasiliani giocano in quella squadra, ma non si può negare che il budget non è proprio lo stesso del Porto o dello Shaktar Donetsk); avanti anche un sorprendente Basilea, trascinato da un Alexander Frei tornato ai livelli migliori. Non è andata altrettanto bene in Belgio (Genk), Bielorussia (BATE Borisov), Croazia (Dinamo Zagabria), Grecia (Olympiacos), Olanda (Ajax), Repubblica Ceka (Viktoria Plzeň), Romania (Oţelul Galaţi), Turchia (Trabzonspor) e Ucraina (Shaktar). Fin qui la disamina delle nazioni con una sola partecipante; ma poi?
Il Portogallo si ferma al 50% (avanti il Benfica), come anche la Spagna (eliminate Valencia e Villarreal) e l’Inghilterra (fuori le due di Manchester, dentro Chelsea e Arsenal). Saliamo al 66% (due qualificate su tre) con la Francia (fuori il Lilla, campione nazionale, mentre avanzano Olympique Marsiglia e Lione) e la tanto decantata Germania (anche qui fuori i campioni nazionali del Borussia Dortmund, agli ottavi vanno Bayern e Bayer). Rimangono due soli paesi ad avere fatto l’en plein: la Russia (CSKA e Zenit) e… l’Italia, sì, lo sappiamo tutti. Il Milan non aveva più problemi, l’Inter di questi tempi ne ha comunque ma ha staccato il biglietto, e il Napoli aveva il pregio insostituibile di essere padrone del proprio destino. Per stavolta è andata.
Che lezione si può trarre da questo piccolo record? La prima è che forse è meglio presentarsi in pochi ma compatti e convinti, ovvero che la perdita di una squadra in Champions non è necessariamente un male. La seconda lezione è che anche quei movimenti calcistici che oggi sono i più ricchi (Spagna e Inghilterra) o i più futuribili (penso soprattutto alla Germania) possono fallire. La terza e ultima lezione consiste nel capire che non ci sono mai pronostici scritti (vale per l’Apoel, vale per il Napoli), se è vero che anche il Milan ha dovuto faticare per scrollarsi di dosso avversari non irresistibili (nelle tre partite di ritorno ha messo a segno solo due punti, frutto dei pareggi esterni col BATE e il Viktoria Plzeň).
Forse i toni sono troppo alti dopo questo exploit insperato, ma sicuramente è vero che questo risultato può essere il punto di partenza per una nuova consapevolezza e per un nuovo modello di programmazione. Durante la scorsa primavera si è discusso molto sulla perdita del quarto posto in Champions; ma ci siamo mai chiesti che genere di squadre portiamo in Europa League? Perché mai non superiamo (quasi) mai la fase a gironi? Negli anni Novanta l’allora Coppa UEFA era terreno di caccia per i nostri colori: nel ’90 e nel ’91 abbiamo Juventus-Fiorentina e Inter-Roma come finali, tra ’93 e ’95 altre tre vittorie con Juventus, Inter e Parma, due anni tedeschi e poi ancora Inter e Parma: era il 12 maggio 1999, si giocava allo Stadio Luzhniki. Da allora, solo delusioni (anche se rimaniamo la nazione ad avere vinto più edizioni).
Tornando alla Champions, quindi, è lecito chiedersi quale sia la qualità delle nostre squadre: siamo sì i più rappresentati nel tabellone degli ottavi, ma siamo anche i più competitivi? È facile dubitarne, visto che anche il Milan non ha mai dato l’impressione di potere davvero impensierire il Barcelona campione uscente.
Ma questo non è certo un motivo per abbassare la guardia. Anzi, il nostro risultato è ancora tutto da conseguire. E se magari non faremo in tempo per il 19 maggio 2011, possiamo costruire molto di più per gli anni a venire.