Chi conosce Catania e il Catania lo sa: una sconfitta tra le mura dell’Angelo Massimino è troppo da sopportare. Può sembrare un discorso altezzoso, direte Voi lettori. Alla fine, penserete, chi si crede di essere il Catania per non poter accettare di perdere in casa propria? Eppure è la verità. Non si tratta né di vanità, né di sentirsi superiori. È amore. I tifosi sono troppo innamorati della squadra e non possono tollerare di farsi mettere sotto in casa, con le piccole cosi come con le grandi squadre. Anche solo un pareggio può essere mal digerito dalla piazza, quando questo è figlio di una prestazione deludente da parte dei giocatori. L’ambiente vuole un Catania battagliero e attaccato alla maglia.
La squadra, d’altronde, ha abituato bene, in questi sei anni di Serie A. La formazione rossazzurra è riuscita a costruire la salvezza anno dopo anno proprio tra le mura amiche, facendosi rispettare anche con le grandi del campionato.
Anche quest’anno il Catania è partito forte, raggranellando un bottino di ben diciassette punti in quattordici gare, accomodandosi, così, stabilmente nella parte sinistra della classifica.
Dopo un periodo di difficili sfide, con le trasferte di Lazio e Fiorentina, e con l’arduo incontro casalingo contro il Napoli, il Catania ha dimostrato continuità ottenendo punti importanti, anche fuori casa, eccezion fatta per la sonora sconfitta rimediata contro il Milan a San Siro, risultato che può starci contro una squadra che ha la missione scudetto da portare a termine.
La sconfitta del Meazza, però, rappresenta l’inizio di un periodo di involuzione dei siciliani, che sono stati sì bravi a rialzare la testa trovando la vittoria nella trasferta di Lecce, ma hanno subìto anche due sconfitte consecutive in casa. Una brusca frenata , un sacrilegio oseremmo dire (con un pizzico d’ironia, si capisce), se si considera che le squadre a confronto si chiamavano Chievo e Cagliari, due dirette concorrenti per il Titolo. Si, perché per il Catania la salvezza vale come uno scudetto.
A mente fredda, però, ciò che fa più rabbia non sono tanto i punti persi, ma il modo con il quale si è scesi in campo in occasione dei match interni contro i veneti e i sardi. È l’approccio con cui la banda di Montella sta interpretando le ultime gare, da qualche tempo a questa parte, che comincia a preoccupare.
Del resto, è un film già visto per il Catania: un girone d’andata da Europa, e una seconda fase calante che fa sprofondare la formazione rossazzurra sull’orlo della retrocessione, costringendo i giocatori a sputare sangue fino all’ultima giornata di campionato per rimanere a galla in massima serie. Un film, questo, di cui non vorremmo più vedere repliche (non foss’altro che per l’incolumità delle coronarie dei più affezionati).
Ma il rischio c’è. E qui ritorniamo al nostro titolo: il Catania si è adagiato sugli allori, o, per provocazione, si è scaraventato sugli stessi, dopo le due batoste subìte al Massimino. È questa la ragione unica del passo indietro della formazione etnea. Perché i grandi giocatori che scendono in campo sono sempre gli stessi, e appellarsi, magari, alla stanchezza per una partenza di stagione ad alti livelli sarebbe un presa in giro.
È un problema di testa, molto comune nel calcio che conta. Pertanto, ora sta molto alla capacità del baby allenatore Vincenzo Montella. L’ex bomber della Roma ha dimostrato di avere personalità e grandi idee di gioco, smentendo gli scettici di inizio campionato che non lo reputavano all’altezza della Serie A. Dovrà essere lui a trasmettere la cattiveria per far ritrovare ai suoi ragazzi la retta via, quella che conduce ai quaranta punti, e che (perché no?) potrebbe proseguire anche oltre.
Bisogna tenere dentro l’orgoglio, la carica, la forza e il fuoco, facendolo esplodere al momento giusto, come un vulcano. Come l’Etna.