Non sentiamoci sempre come Davide
Tra gli anni 80 e 90 dominavamo il mondo del calcio, giocare contro un’italiana e batterla riassumeva quasi i contorni di un’impresa titanica. Gli stranieri facevano a guerra per venire a giocare nel campionato italiano, quello le migliori squadre ed i campioni più celebrati. Il nuovo secolo ha fatto registrare una tendenza diversa, la quale, purtroppo, ci vede come la terza o quarta scelta d’Europa.
La diversa impostazione fiscale, gli stadi, la crisi economica, il catenaccio, tutti motivi che riecheggiano puntualmente ogni qual volta andiamo incontro ad una disfatta sul fronte internazionale. L’eco dell’opinione pubblica nel nostro paese, si sa, ha una forza d’influenza pazzesca, trascinante. Questo disfattismo ci ha sfasciato più di qualsiasi altra cosa, perché avremo pure strutture antiquate e casse non da sceicchi però restiamo pur sempre il torneo più complesso del pianeta, la migliore scuola per gli allenatori e la tattica. Provate a chiedere a Ferguson o a Guardiola se sperano di incontrare una squadra italiana negli ottavi di Champions. E’ nato un complesso d’inferiorità che ci porta a credere di doverci spingere sempre oltre le nostre possibilità per cavare qualcosa di buono al cospetto delle potenze del calcio mondiale.
Ieri il Milan è stato applaudito e oggi quasi si decantava l’impresa di Ibrahimovic e compagni, capaci di perdere per una sola rete di scarto contro il Barcellona e di produrre un buon gioco. “Il Milan ha fatto il massimo”, “onore ai rossoneri”, tutto ciò si è detto, mentre i blaugrana hanno sfoderato una prestazione normale, senza strafare. Martedì abbiamo assistito ad un Napoli leggendario e ad un City insufficiente, quando la formazione di Mancini è anch’essa al primo anno nella massima competizione per club ed ha cambiato molti effettivi della propria rosa, pur parlando sempre di campioni. Tale mentalità nuoce: finiremo per sviare ripetutamente dai nostri peccati e cederemo il passo a campionati modesti come quello tedesco. Una disamina corretta suggerirebbe che il Milan non ha saputo far filtro a centrocampo ed ha ballato in difesa, ha creato alcune buone occasioni ma, al tempo stesso, ha rischiato più volte di affondare. Ok, il Barcellona è un rullo compressore, una macchina perfetta, ma se hai la sede in via Turati non puoi accontentarti di un massimo che non combacia con la tua tradizione. Il Napoli ha impostato la solita, ottima, partita di attesa e contropiede manovrato. Una vittoria classica, all’italiana, non certamente qualcosa di epico, se non per l’importanza del match; se avesse battuto nello stesso modo proprio il Milan, Mazzarri sicuramente non sarebbe stato dipinto come Re Mida. I rossoneri cosa hanno in meno del City degli sceicchi? “Qui si profuma un’aria di storia, dobbiamo essere quasi perfetti per far risultato”. Cosi parlava Pep Guardiola alla vigilia dell’incontro di ieri: non è frustrante incutere tanto rispetto agli avversari se poi finiamo vittime di una soggezione nauseante? Abbiamo insegnato come si sta in campo al mondo intero, abbiamo vinto quattro mondiali e ammirato alcuni tra gli atleti migliori di sempre. All’estero se lo ricordano, qui no. Siamo italiani del resto.