Home » Ad Udine va di moda Il Gattopardo. Cambiare interpreti per restare sempre uguali

Ad Udine va di moda Il Gattopardo. Cambiare interpreti per restare sempre uguali

Ad Udine sembrano aver imparato la lezione di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che nel suo romanzo più famoso, ‘Il Gattopardo’, affermava: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Non si spiegherebbe altrimenti la costante presenza della squadra friulana ai vertici della classifica di serie A, nonostante le cessioni dei pezzi pregiati ad ogni sessione di mercato. Giocatori che non vengono rimpiazzati da nomi altisonanti, ma da giovani funzionali al progetto che l’Udinese porta avanti da ormai 15 anni, magari cresciuti per un paio di anni alle spalle dei titolari per poi essere pronti e maturi per sostituirli al momento giusto, come accaduto quest’anno a Badu, che ha rilevato in mezzo al campo Inler, partito destinazione Napoli. La forza dell’Udinese sta proprio in questo: vendere e vincere, reinvestendo i proventi delle cessioni nella ricerca di giovani talenti in giro per il mondo, con particolare attenzione a Sudamerica ed Africa, nella speranza che il ciclo risulti infinito e gli scivoloni, che sempre ci possono essere nel calcio, siano ridotti al minimo. Un progetto che ha avuto bisogno di anni e molta pazienza per essere avviato, ma che da indubbiamente i suoi frutti sia a livello di risultati sia a livello economico, rendendo l’Udinese una delle squadre più solide dal punto di vista finanziario. Sotto la guida di un tecnico preparato ed attento come Francesco Guidolin, l’Udinese ha trovato poi anche un gioco sempre più spumeggiante ed efficace, con l’utilizzo di un’unica punta centrale piccola e veloce come Di Natale e tanti bravi incursori alle sue spalle. Lo scorso anno erano Sanchez, Inler e Asamoah. Oggi partiti i primi due ci sono Armero, già in evidenza lo scorso anno, Isla, trasformatosi ormai in mezz’ala, e la novità Basta, in attesa che Torje, uno dei pochi già formati arrivati dal mercato, inizi a carburare e mostrare anche ad Udine le magie che per ora gli riescono solo con la nazionale romena. Uno modulo, quello di Guidolin, che sembra assomigliare al Barcellona di Guardiola, da cui però si distanzia nel modo di giocare. Se infatti i catalani sono i maestri del tique-taque, il passaggio ravvicinato a volte ossessivo con cui schiacciano le squadre avversarie nella propria trequarti, l’Udinese gioca più in verticale e più velocemente, senza cadere in virtuosismi e leziosità, chiudendosi e ripartendo in continuazione. Un gioco divertente ed efficace che andrebbe preso ad esempio da tutti in Italia, dove troppo spesso si cerca di imitare in maniera maldestra i modelli stranieri, snobbando quelli interni. L’Udinese ha imparato che bisogna crearsi un’identità propria di squadra per sopravvivere, anche bene, in questo calcio potendo così cambiare tanto, affinché nulla cambi. Gli Amoroso, i Bierhoff, i Sanchez e gli Inler arrivano, lasciando tracce indelebili nella storia della società, senza però lasciare vuoti incolmabili al loro passo d’addio perché sempre rimpiazzati degnamente, e a volte ancor meglio, da giovani semi sconosciuti pronti in un paio d’anni a spiccare il volo verso club più blasonati e così via. Cambiare tutto perché nulla cambi, così ad Udine hanno creato un modello sostenibile di fare calcio ad alto livello.