Esclusiva Mp – Sansonna (regista): “Vi racconto Zeman”
A volte serve allontanarsi dal ghetto dei tre punti e del gol in fuorigioco per capire davvero le persone. Dietro un allenatore, dietro un bomber consumato, dietro un presidente spendaccione c’è sempre un uomo, fatto di umori e sensazioni. E’la parte che più interessa a Giuseppe Sansonna, regista pugliese classe 77. Affascinato dall’interiorità di Zdenek Zeman, Sansonna gli ha dedicato due documentari: “Zemanlandia” e “Due o tre cose che so di lui”.
Entrambi saranno visibili il 29 luglio a Roma, in una serata tra cinema e calcio intitolata “InKino al boemo”. La location prescelta dal Kino Village, organizzatore dell’evento, è l’arena all’aperto di San Sebastiano. Sansonna ci spiega perché nel primo documentario, “Zemanlandia”, incentrato sul Foggia dei miracoli, Casillo e Zeman chiacchierano tra di loro seduti su un divano invece che affrontare un’intervista classica. “Un set che mi ricordava il finale di “C’era una volta in America”, sede del dialogo decisivo tra Noodles e il senatore Bailey. Due vecchi amici che si confrontano sulle opposte aspettative esistenziali. La formula funzionò”. “Due o tre cose che so di lui” non parla di calcio giocato: ”Ho spesso ripreso solo la panchina – sottolinea il regista –disinteressandomi al gioco. La panchina zemaniana, inquadrata in lunghi piani sequenza, si è rivelata un microcosmo ricco di sfumature”.
Una testimonianza avvincente. Un viaggio nei meandri di un uomo su cui il sole non tramonta mai: Zeman.
Giuseppe Sansonna, come nasce questa passione per il personaggio Zeman?
Io sono pugliese, della provincia di Bari. Da ragazzo mi recavo spesso al mitico Zaccheria di Foggia: quella squadra giocava un calcio esaltante, impossibile non restarne affascinati. L’allenatore era un signore d’altri tempi, il suo silenzio incuriosiva più di mille parole. Così, quando sono diventato regista, ho proposto a lui e a Casillo di creare il documentario Zemanlandia.
Casillo e Zeman su un divano, a parlare tranquillamente dei fatti loro. Perché questa scelta?
Mi incuriosiva molto vedere un dialogo tra due personaggi agli antipodi. Casillo è un uomo del Sud, verace e vulcanico. Zeman è esattamente l’opposto: introverso, poche parole ma tantissimi sentimenti. Non volevo fare la classica intervista frontale e così chiesi loro se potevano sedersi su quel divano e chiacchierare come se la telecamera non ci fosse. Ne venne fuori una scena che mi ricorda il finale di C’era una volta in America, con questi due vecchi amici che si confrontano sulle loro aspettative di vita. Ovviamente i pensieri erano diversi in tutto e per tutto.
Nel secondo documentario, invece, ha scelto di riprendere quasi esclusivamente la panchina…
“Due o tre cose che so di lui” nasce nel 2010, quando Zeman ritorna a Foggia. Tra di noi c’era ormai una buona confidenza: gli chiesi il permesso di riprendere alcune scene dalla panchina e lui acconsentì. Credo sia una cosa interessante perché nel calcio si vede sempre quello che succede in campo e non si osserva mai quello che un uomo prova durante lo svolgimento della partita. Si notano gli umori di Zeman, le sue espressioni, i suoi gesti. C’è un episodio emblematico: un calciatore del Foggia che in una gara casalinga era tra le riserve, Agostinone, si mette a bordo campo per dare delle indicazioni a un compagno. Zeman si alza dalla panchina e gli sfiora il braccio. Il giocatore torna subito a sedersi. Tutto senza il bisogno di sprecare una parola.
A quale personaggio del cinema paragona Zeman?
Lo paragono a Bogart, quello dei classici americani fatti di sigarette e silenzi in quantità industriale, ma anche a Clint Eastwood. In comune hanno il carattere imperscrutabile, il sorriso sottinteso e l’espressione fantastica. Zeman starebbe benissimo in un film western. Più di tutti, però, il boemo lo associo ad Aki Kaurismaki, il miglior regista della storia finlandese. Nei suoi film rappresenta personaggi che, nonostante siano consci di non poter cambiare il mondo infame intorno a loro, sopravvivono con stile ed eleganza. Senza mai perdersi d’animo, andando sempre avanti con le proprie idee.
In un mondo spesso artificiale come quello del calcio, il boemo è davvero una mosca bianca…
Giustissimo. Non c’è bisogno di aggiungere altro.
Secondo lei perché è stato fuori così tanto dal grande calcio?
E’ stato fuori perché ha detto la verità. Quando Del Piero correva a tremila, tutti sapevamo che era una cosa innaturale. Era evidente, non è che Zeman è un sommelier del doping. Lui ha avuto semplicemente il coraggio di gridare al mondo intero quello che gli altri pensavano ma non volevano dire. Se guardate con attenzione un filmato, vi accorgerete che anche lo stesso Vialli riconosce in qualche modo le affermazioni di Zeman. Moggi e gli altri non potevano: loro avevano un’etica differente, sono sempre stati temuti e non amati.
Perché Zeman è lo stesso sia in provincia che in una metropoli come Roma?
Perché Zeman è questo: a lui interessa solo ciò che accade nel rettangolo verde. Quello spazio deve restare immacolato, lui è una persona trasparente e ama la lealtà sportiva. A Foggia, dopo una grande vittoria e mentre tutta la squadra festeggiava, lui si caricò sulle spalle i contenitori con le borracce dell’acqua e rientrò negli spogliatoi. Con il Pescara ha fatto l’impresa migliore degli ultimi venti anni di calcio italiano e merita l’occasione che la Roma gli ha fornito. Tratterà tutti allo stesso modo, che sia Totti o l’ultimo panchinaro. Zeman è così. Poi uno può anche preferire vincere ogni partita per uno a zero e portarsi a casa lo scudetto, però un dato non cambia: il tifoso che va allo stadio si annoia a morte.
In chiusura: c’è un altro personaggio del calcio che la attira per la sua interiorità?
Bella domanda. Vi dico Zlatan Ibrahimovic, che mi ricorda i fumetti di Andrea Pazienza. Lui è un cattivo, un esempio perfetto della società odierna: arriva in un posto con la sua valigetta nera, vince lo scudetto senza sorrisi e senza guardare in faccia nessuno e poi se ne va. Magari non saluta neanche. Sarebbe interessante studiare Ibra da vicino, capire la sua psicologia e quello che si nasconde dietro una faccia da duro.