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Esclusiva MP, Daniela Scalia: “L’Italia deve vincere e anche diffondere”

Pochi giorni dopo la fine dei Test Match, la giornalista di SportItalia Daniela Scalia ci ha concesso un’intervista esclusiva (e non sarà l’ultima: promette che ci parlerà del rugby a sette…). Già nota per la conduzione di trasmissioni quali Prima Ora e Si Rugby, dice molte cose interessanti sugli azzurri, sullo stato del movimento, con anche una toccata e fuga verso il Rugby League, la variante del gioco diffusa soprattutto in Australia e nell’Inghilterra del nord.

Daniela Scalia, giornalista volto noto di SportItalia, soprattutto nel campo del rugby. Viene naturale parlare di Italia: se ne sono dette tante. Benino con Tonga, l’onore salvato con gli All Blacks, quasi pari con gli Wallabies. Com’è andata, secondo te?

Sportivamente bene, ma ti devo ricordare che non sono una analista tecnica. I tongani hanno battuto la Scozia, portando al licenziamento dell’allenatore, quindi la prestazione dell’Italia va un po’ rivista in questa chiave. Le altre due prestazioni hanno ormai confermato quello che le grandi nazioni dicono da tempo: l’Italia ormai è un pericolo. Quando lo dicono pubblicamente, noi pensiamo sempre che siano dichiarazioni diplomatiche, invece è proprio vero.
Mediaticamente, e quindi a livello di diffusione generale, non mi sembra che sia andata benissimo, ma potrei sbagliarmi.

Converrai che è il caso di ragionare soprattutto in chiave Sei Nazioni. Tu cosa ti aspetti dal prossimo torneo?

Se gestita bene in campo e fuori, l’Italia del 2013 potrebbe portare a casa 2 vittorie. Abbiamo almeno 5 giocatori che potrebbero giocare con le nazionali maggiori e per quanto ci capisco anche il tipo di difesa adatta alle sfide e ai campi europei. Purtroppo non abbiamo la stessa profondità in tutti i ruoli. Comunque la rosa è abbastanza larga, e non siamo la squadra che crolla con un paio di assenze. Quando mando un augurio alla nostra nazionale in realtà ne mando due: vincere, ma anche diffondere, insomma avere effetto sulla base. Ormai è una deviazione professionale, quando c’è un risultato mi ritrovo ad osservare come è stato comunicato, che tipo di eco ha avuto e così via.

Novembre è finito, come i Test Match. La botta finale l’ha regalata l’Inghilterra, che a Twickenham ha schiantato la Nuova Zelanda. Francamente, te l’aspettavi?

Avevo una imbeccata di lusso: Luca (Tramontin, ndr) mi aveva anticipato che avrebbe potuto finalmente festeggiare. Mi aveva confidato il piano di gioco che a sua volta aveva saputo dagli addetti ai lavori. Lo ho visto stranamente tranquillo e mi ha detto: “Questa volta l’Alleghe di hockey e l’Inghilterra del rugby vincono, prepariamo le birre!”

Veniamo all’Italia e ai club. Le Zebre, neonata franchigia federale, stanno faticando all’esordio in Pro12, anche se c’è ottimismo. Treviso è squadra “casalinga”…

Due realtà opposte. Ho scelto di disinteressarmi completamente alle vicende “politiche”, ma osservo molto il lato agonistico di queste due squadre con origini opposte. Sono essenziali per il rugby italiano che non ha solo bisogno di vittorie ma anche di stabilità, cioè di marchi forti e riconosciuti all’estero. Non c’è nessun dubbio che il Benetton ormai lo sia, per risultato, per storia e per immagine. Per le Zebre è tutto da costruire. La franchigia federale ha sfiorato dei risultati che sarebbero stati utilissimi, il pubblico delle zone classiche se ne è accorto, ma purtroppo questa eco fatica ad andare oltre le zone già ovalizzate.

Insomma, conta soprattutto diffondere. 

Spero che in futuro anche intervistare, diffondere, fare trasmissioni di rugby sia più facile, adesso certamente non lo è, non è un idea mia ma un dato di fatto che ognuno può verificare schiacciando i tasti del telecomando. È più facile fare una fiction all’estero (mi riferisco a “Sport Crime“, il progetto a cui sto lavorando, che è la prima Crime Serie di argomento sportivo) che un magazine di rugby in Italia. Il destino delle franchigie e della base dipende soprattutto da questo.

Fra poco meno di un anno, ecco il mondiale di rugby league (o rugby a 13). Ricordo ancora le clip con le immagini di questo codice spettacolare, ai tempi di SI Rugby, in chiusura di puntata.

Hai un’ottima memoria, e registro volentieri che tutti gli appassionati di rugby a 15 ci chiedono “che fine ha fatto il 13?”. Funziona così: se un bambino vede del grande rugby in Tv si precipita al club più vicino senza nemmeno accorgersi se si gioca a 13 o a 15.
Tra pochi mesi saremo in Gran Bretagna per il mondiale. L’Italia ha una formazione molto forte. Il campionato inglese e il mondiale hanno perfino attirato l’attenzione della televisione nazionale svizzera, un paese molto arretrato in quanto al rugby. Certo, il boom della palla ovale viene anche dalla diffusione dell’Orules, o Football Australiano a Lugano, con la prima ragazza svizzera (Marisa Salgado) draftata per una lega professionistica. Tra qualche mese me la troverò contro, devo mettermi in forma!

Ti va di spiegare ai nostri lettori cosa è il league e soprattutto in cosa si differenzia dal rugby union? L’Italia parteciperà alla coppa del mondo…

Per i non esperti non ci sono confini netti tra i vari “codici”, se si appassionano a uno si appassionano a tutti. Sarebbe molto bello poter  trasmettere qualcosa anche in Italia. È un codice antico quanto il 15, è sport-mania nel nord dell’Inghilterra, in Australia e in molti altri paesi. La diffusione generale è inferiore a quella del 15, ma le partite di cartello a Old Trafford o al Sidney Stadium attirano regolarmente 80.000 persone. Si gioca senza “touche” né raggruppamenti, e le mischie sono simulate. Tutto scambi, incroci e impatti ad altissima velocità. Molto facile per il pubblico televisivo, troppo rapido e glamour per i puristi del 15. Magari poi un’altra volta parleremo anche del Seven e della storia olimpica del rugby…

Senz’altro. Nel ringraziarti, anche da parte dell’intera redazione di MondoPallone.it, vorrei chiederti uno “slogan”. Perché avvinarsi alla palla ovale?

Perché poi ti chiedi “ma come facevo senza?”