La Serie A appesa a un rigore
«Nino, non aver paura di tirare un calcio di rigore»: così cantava un lontano Francesco De Gregori, quando aveva più voce di oggi, nel 1982. Quando Maicosuel non era neanche un’idea (è un classe 1986, mentre il cantautore parlava della leva calcistica del ’68: direi che Nino sarà andato in pensione, ormai).
Ieri ne ha parlato il nostro Alessandro Lelli, dal punto di vista della partita e dell’Udinese; oggi invece ve ne parliamo dal punto di vista del movimento (una Serie A ai minimi storici), e del giocatore.
Recidivo, tanto per cominciare. Eppure, se l’Udinese ci ha speso oltre cinque milioni, un motivo ci sarà. Sicuramente non ha avuto un battesimo facile. E sicuramente vedremo scatenarsi la caccia all’uomo: come se il colpevole di tutto fosse sempre uno solo. Perché, diciamocelo chiaro: non è solo colpa sua, se l’Udinese non ha sconfitto il Braga; e non è solo colpa sua se l’Italia quest’anno avrà solo due squadre in Champions (come la Russia, faceva notare in redazione il nostro Michael Braga).
E rendiamoci anche conto che, realisticamente, non abbiamo soverchie velleità: la Juventus ha fatto un ottimo mercato, ma pare ancora molto lontana dalle squadre che contano; per tacere di un Milan ai ferri corti: tra allenatore e dirigenza, tanto per cominciare. Non penso, sinceramente, che riusciremo a tirare fuori un buon risultato dall’Europa che conta.
Il coefficiente UEFA parla chiaro: Inghilterra e Spagna in testa, con 84 punti e spiccioli; la Germania a quota 75, si siede sulla terza piazza; noi siamo quarti, con risultati in ripida discesa, un pelo sotto quota 60. E dietro di noi scalpita proprio il Portogallo: 55 punti e la sensazione di un movimento che, a dispetto di tutto, sia in evoluzione, in crescita. Lo stesso Sporting Braga è una signora squadra, costruita su uno stadio fantastico e tanta, davvero tanta programmazione.
Società quotata in Borsa (in un paese in piena crisi), ha cominciato a costruire il proprio successo nel 2008: settima in campionato, ha partipato all’ultima edizione della Coppa Intertoto e l’ha vinta (perché è arrivata fino al terzo posto nella fase a gruppi della Coppa UEFA), in seguito subito eliminata dal Paris Saint-Germain (che non era quello di ora). Qualcuno potrebbe storcere il naso all’idea che l’Intertoto sia stato una cosa importante — invece è proprio così: perché era la prima volta che un altra squadra portoghese vinceva un trofeo internazionale (dove per altra intendo ovviamente una che non sia il Porto, il Benfica o lo Sporting).
Rendiamocene conto adesso, prima che sia troppo tardi: il cammino negli spareggi per la Champions è spesso minato, per le italiane, dalla tardiva partenza del campionato, per me la prima colpevole, prima ancora di Maicosuel; e se anche il ragazzo (che ha 26 anni e certe cose dovrebbe averle capite) ha sbagliato, è pur vero che non si getta mai la croce addosso a qualcuno solo per un rigore. Vi sta simpatico Montolivo? Non fa differenza: ha sbagliato un rigore contro l’Inghilterra, e in un certo senso è grazie a quell’errore che Andrea Pirlo ha dato la riscossa a una squadra che, pur dominando, non era stata capace di vincere la partita. Maicosuel non ha capito che non era il momento di farlo; e Guidolin, più che pensare alle dimissioni, dovrebbe usare l’effetto-phon per cui è celebre Sir Alex Ferguson.
Ultima cosa: il movimento calcistico italiano. Già chiedere a una squadra piccola-ma-grande, e basata principalmente sulla sua capacità di scovare all’estero il talento, per inserirlo in un sistema già rodato — già chiedere a una squadra del genere di salvare il bilancio italiano è davvero troppo. Mi limito quindi, semmai, a chiedere ai bianconeri di prendere l’Europa League come una occasione di crescita e di rilancio verso l’Europa che conta: non vinciamo dal 1999, quando il Parma regolò l’Olympique Marsiglia a Mosca. Molta parte del coefficiente la dovremmo recuperare qui.