I grandi del calcio russo: Vyacheslav Malafeev, un portiere, una bandiera
Ottava puntata della nostra rubrica. Oggi ci soffermiamo su un portiere che ha deciso di consegnare la sua esistenza ad un’unica squadra.
Per un tifoso dello Zenit Malafeev non è un portiere, è il portiere. Slava non si contraddistingue soltanto per le sue esaltanti doti da estremo difensore. Slava è molto di più; è una bandiera, una persona per bene nella quale ogni cittadino di San Pietroburgo è felice di immedesimarsi.
A San Pietroburgo lo Zenit è una religione, è l’unica vera squadra della città (il Petrotrest non viene nemmeno calcolato) ed incarna appieno lo spirito di un luogo fantastico e meraviglioso, finestra sull’occidente voluta da Pietro il Grande nel lontano 1703. Malafeev, nato e cresciuto nello Zenit non può essere che motivo d’orgoglio per la gente di questa città.
Malafeev, prima di tutto, è un esempio. Dentro e fuori dal campo. Di una correttezza esemplare, ha mantenuto sempre una vita privata riservata e corretta. Anche dopo la morte della moglie Marina, in un tragico incidente qualche giorno prima della sfida di Europa League col Twente (marzo 2011), ha saputo risollevarsi e guardare avanti. E per i suoi figli ha deciso di lasciare la nazionale la scorsa estate.
Prodotto del vivaio, one-man club. Le porte del Petrovskij sono ormai una seconda casa per Slava. Dimora che è stata affittata saltuariamente da altri estremi difensori, come il mediocre bielorusso Zhevnov e l’esperto slovacco Contofalsky; immaginarsi uno Zenit senza di lui tra i pali è impossibile. Malafeev, inoltre, è il giocatore con più presenze in Europa con la maglia biancoazzurra (61) e in generale con questa squadra (348).
Nella sua carriera Slava ha commesso degli errori, delle papere, ma con grande personalità si è sempre migliorato. Ed ora per lo Zenit è una certezza: con la sua esperienza sa guidare al meglio il suo reparto. Para letteralmente in tutti i modi, senza nessun problema. Nello scorso match con la Dinamo, ad esempio, si è inventato un salvataggio di testa, con una deviazione decisiva, magari esteticamente rivedibile, ma maledettamente efficace. Qualche settimana più tardi, con gli acerrimi nemici dello Spartak, si è immolato su un calcio di rigore che avrebbe potuto riportare in partita gli avversari. Più passano gli anni, più migliora. E questo è segno di umiltà, fiducia nei propri mezzi e volontà di raggiungere traguardi sempre più altri.
Vyacheslav è un uomo, prima che un calciatore. Una persona vera, umile e per bene. Uno di quelli che, nel calcio moderno, stanno scomparendo sempre di più. Una bandiera, un idolo, un modello.
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