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Per gentile concessione Media Bin FIR

Ci aspetta un super sabato: a partire dalle 13:30, tre partite una dopo l’altra.
È l’ultima giornata di un 6 Nazioni strano, che ha promesso più di quanto abbia mantenuto quanto a equilibrio, imprevedibilità e scossoni; in alta classifica come in fondo: mentre l’Inghilterra è già campione noi siamo già sicuri, per la seconda volta consecutiva, del cucchiaio di legno.

Tale cucchiaio è il privilegio, molto poco desiderabile e desiderato, di chi arriva ultimo. E se ci arrivi con l’en plein di sconfitte diventa whitewash: ci siamo ‘riusciti’ 7 volte sinora e siamo molto esperti in questo tipo di traguardo.

Ironia a parte, le cose non vanno bene: a livello di 6 Nazioni l’Italia non vince una partita dal 28 febbraio 2015. Quel giorno, gli azzurri passarono a Murrayfield, dove tornano oggi pomeriggio; corsi e ricorsi, ma siamo messi peggio che allora, quando Furno, Venditti e una meta tecnica ci diedero i 2 punti e la ‘salvezza’ dal cucchiaio di cui sopra. Ora, con o senza punti di bonus, quella nave è salpata da un pezzo: Galles e Scozia ci precedono di 9 lunghezze e non le potremmo raggiungere neanche facendo bottino pieno.

Però si può giocare per la dignità. Anzi, si deve: non è una vittoria che fa uscire dalla crisi ma serve come il pane, per tenere a bada critici interni ed esterni: la Georgia bussa e vuole entrare nel rugby che conta. Lo merita e continua a indicare la nostra classifica e il nostro ruolino: come il record di 29 mete concesse l’anno scorso, o i 172 punti incassati nelle 4 gare disputate sinora, 3 delle quali in casa.
Andiamo a Murrayfield contro la Scozia migliore degli ultimi anni. In un’intervista su queste pagine, Vittorio Munari l’ha definita non una sorpresa ma “la dimostrazione del fatto che, seguendo pochissime ma importanti regole interne e con chiarezza di intendimenti, i progressi si possono fare“; una squadra che s’è portata a casa, in questa edizione del torneo, lo scalpo di Irlanda (27-22) e Galles (29-12), con lo sfizio pure del punto di bonus strappato a Parigi. Scozzesi forti, ben organizzati e che finalmente raccolgono quanto seminato: ciò che avremmo potuto fare noi, ciò che avremmo dovuto fare noi.

Ma questi siamo: rispondiamo con Treviso e Zebre penultima e ultima forza del Pro 12 alle loro Glasgow ed Edinburgh; ciascuna di queste franchigie, pur non respirando l’alta classifica del campionato ex ‘celtico’, ha portato a casa sinora più della somma delle due italiane messe insieme e gli stessi Warriors, dopo la finale raggiunta e persa nel 2013-2014, vincevano solo due anni fa il titolo: qualcosa da noi è andato storto, pur con tutte le differenze del caso a livello di tradizione e movimento.

Movimento che, quanto a entusiasmo e partecipazione, non smette di crescere neanche dentro i nostri confini. Lo scorso fine settimana siamo stati accreditati a tutte e tre le partite dell’Italia, comprese l’Under 20 e la nazionale femminile; ovunque, l’entusiasmo delle piccole realtà come dello stadio Olimpico, materiale umano su cui investire e lavorare.

Serve, però, portare a casa qualcosa. Quello che Raimondi e Munari (qui per leggere nuovamente la nostra intervista: una riflessione sull’unico momento azzurro memorabile con quel primo tempo a Twickenham) definirebbero “il macinato”: qualcosa di concreto, che soddisfi una fame che dura da troppo e dia a Conor O’Shea e al suo staff, che un progetto lo hanno di sicuro, il diritto di lavorare più sereni.
Per questo diciamo tutti Dai Italia: ripensa a quel pomeriggio di due anni fa a Edimburgo.
In fondo, sai come si fa.