Sempre e solo a porte aperte
Per fortuna, la notizia non è stata confermata. I prossimi Europei si disputeranno a porte aperte, com’è normale che debba essere. Giancarlo Abete, vicepresidente della UEFA, aveva dato l’avvertimento: “C’è il rischio di un campionato europeo senza tifosi” per paura dell’Isis, per paura di attentati terroristici che, purtroppo, in occasione di eventi importanti, che aggregano persone provenienti da diverse parti del mondo, diventano molto più probabili del normale. E’ stata la stessa UEFA a smentire Abete, però, assicurando che l’Europeo francese sarà esattamente ugual a tutti gli altri: con stadi gremiti di persone, e con tanto pallone da vivere sugli spalti. Per fortuna.
Non volendo entrare nel triste, ampio, e spigoloso discorso terrorismo, e preferendo restare a disquisire principalmente di sport, analizziamo la cosa focalizzando l’attenzione esattamente su ciò che concerne l’evento e la sua spettacolarizzazione, e i ricavi che produrrà, e i posti di lavoro che ha dato e che darà. Facciamolo, innanzitutto, tenendo in considerazione il volere di chi comanda davvero, quest’oggi, nel mondo del calcio: le televisioni. Perché è ovvio, banale, scontato, affermare che un grande evento è definibile tale solo e soltanto quando attira gente e ottiene consenso. Più c’è passione, più c’è tifo, più c’è adrenalina. Immaginate i mondiali sudafricani del 2010 senza vuvuzela, per esempio, o il rigore di Baggio contro il Brasile, nel 1994, in uno stadio vuoto. Oppure, ancora, il gol di Wiltord contro di noi nel 2000… segnato in un De Kuip deserto. Non sarebbe stato uguale. Non sarebbero stati momenti storici, belli o brutti che fossero, e dunque non si sarebbero venduti a un prezzo giusto. Perché questi eventi (mondiali, europei, Olimpiadi, et similia) hanno bisogno di sponsor, e di televisioni, e di tanto seguito per potersi permettere di “chiudere il cerchio” e compensare così le normalissime, iniziali, previste perdite economiche (investimenti, stipendi e ristrutturazioni) con gli ingenti introiti derivati dalla adeguata spettacolarizzazione degli eventi stessi.
Dunque, la gente porta entusiasmo, e l’entusiasmo porta spettacolo, e lo spettacolo attira le tv. Poi, le tv portano gli sponsor, gli sponsor investono in base alla gente che c’è, e la gente colora stadi, compra maglie, bandiere, e sciarpe, beve tanta di quella birra là, proprio quella sponsorizzata da quel canale in particolare, quello che trasmette in esclusiva l’evento, e soprattutto… la gente è scenografia. Già: il pubblico è il cuore di uno show, ma anche il vestito che indossa. Gli applausi, i fischi, le critiche, i dibattiti, anche gli imprechi, sono il battito, la linfa di qualsiasi spettacolo al mondo. Sono ciò che lo rende vivo. Per tal motivo, i prossimi Europei sia per fascino, sia per importanza, ma anche solo per poter fare in modo che siano economicamente “giustificati”, hanno un forte bisogno di essere vissuti da tifosi pronti a gremire gli spalti degli stadi francesi. E non c’è paura che tenga, perché lo sentiamo dire ogni giorno che “la vita deve andare avanti” nonostante ciò che accade ormai ogni giorno, da questa o da quella parte del globo. Bisogna andare avanti, e per farlo non deve esistere il timore di organizzare o assistere a grandi eventi in giro per il mondo. Bisogna vivere passione e farlo proprio lì, in quel momento, vivendo quell’attimo, essendo presenti, diventando parte integrante dello spettacolo.
Sempre e solo a porte aperte, dunque. Lottiamo, noi in Italia, per un calcio che porti la gente allo stadio, in un periodo in cui il tifoso è pigro, e preferisce il caldo salotto con televisore HD al vento gelido che soffia in curva. Per tal motivo, e perché i nostri stadi sono per la maggior parte opere d’antiquariato, siamo costretti a sorbirci – ogni benedetto finesettimana – partite in impianti desolati. Perciò, soprattutto noi che la conosciamo bene, la lezione, non costruiamo un pretesto da una paura. Viviamolo, lo sport. Dal vivo. Alla faccia di chi ce vole male (Cit.).