Margherita la Rossa
Il grande Circus riparte, dall’altro lato del mondo. Australia: circuito dell’Albert Park, immerso nel verde e in vent’anni di storia, visto che si corre qui dal 1996 – un’altra epoca, visto che era il primo Gran Premio di Schumi in rosso: la macchina non c’era, il volante invece sì. Giusto per gradire, poi è stato anche il primo GP di Giancarlo Fisichella, che nel 2005 coglierà qui la sua seconda vittoria in carriera.
Incidentalmente, veniva introdotto per la prima volta il limite del 107% in qualifica: Haryanto, questa è tutta per te). Giusto per crearci un amico diciamo che il pilota indonesiano della Manor è, per il portafogli, il nuovo Maldonado, senza però averne un’unghia del talento. Vandoorne, campione dell’ultima GP2, corre in Giappone; lui, solo quarto, è qui.
Le aspettative sono alte. Oserei dire: inopinatamente alte. Nella vita, sono (stato) il primo a pensare che un sogno tanto vale averlo grande, e a pormi sempre obiettivi ambiziosi; ma la realtà, l’ultima disponibile, dice 16-3 per la Mercedes (e l’unica vittoria piena, totale, è stata a Singapore); il regolamento tecnico è rimasto grossomodo lo stesso, e il resto sono modifiche di contorno (penalità, mescole, cose così).
Le modifiche devono quindi venire dalle vetture: e la SF16-H, rispetto alla monoposto della scorsa stagione, rappresenta tante novità. Quella era una macchina molto “standard”, questa è estrema e innovativa (si spera in meglio). Più compatta, più rastremata al posteriore, più una nuova sospensione anteriore (push-rod). Più rischiosa.
Poi c’è il motore: sicuramente ultramodificato per la Ferrari, che ha speso più gettoni di tutti (23 su 32 disponibili), e la rastrematura delle fiancate ne è una prova. Radio paddock dice che, dopo Stoccarda, anche Maranello adesso abbia il manettino magico per fare il super-giro… solo che a quel punto l’affidabilità diventa relativa. Vedremo, calcolando anche che le modifiche effettuate per aumentare l’affidabilità non esulano dai gettoni (scappatoia che in Mercedes hanno sfruttato a perfezione). Per la qualifica, al netto del nuovo formato, difficile vedere velleità differenti dalla seconda fila.
Infine, novità cromatiche: tradizionale rosso ad altezza ruote, netto bianco più sopra. La memoria parla di un ritorno ai tempi di Regazzoni e Lauda (già); l’attualità parla piuttosto di una – comprensibile – cambiale pagata a quegli sponsor che ufficialmente sono impresentabili (multinazionali del tabacco), e che però sono munifici a sufficienza da foraggiare la rimonta ferrarista.
Bilancio: già detto che in qualifica difficilmente ci sarà storia, in gara chissà. Poi la schizofrenia dei regolamenti può sempre metterci del suo (per esempio: fantastico limitare le comunicazioni radio, ma allora perché introdurre anche le qualifiche a eliminazione?, solo per ottenere uno spettacolo artificiale?). Sulla carta, non si vedono punti deboli, ma il problema è rappresentato dai punti di forza della Mercedes.
Non so cosa potremo vedere, giù in Australia: il circuito è particolare (imperfetto, ma fascinoso), il fondo sarà scivoloso, l’aerodinamica è meno determinante che altrove, anche il meteo non è stabilissimo (più che la pioggia, sicuramente da temere temperatura e vento). E, in ogni caso, una rondine non farebbe primavera. Diciamo anche che la vedo, più che grigia, ancora argentata.
Vettel ha l’abitudine di battezzare le sue vetture con un nome femminile (cosa che l’anno scorso non era stata digerita benissimo, in Ferrari): nel 2015 è stata Eva, che fortunatamente non ci ha dato troppo adito per facili improperi. E ora siamo a Margherita. Come la prima regina d’Italia secondo Vettel, che ci tiene a smentire che sia come una pizza o un cocktail (quel guascone di Ricciardo!). Anche perché Margarita, per chi certe cose le sa, sicuramente è il nome che avrebbe scelto Räikkönen.