Ciò che siamo e ciò che non siamo
Cè un filo rosso che collega Argentina, Georgia, la sfida Argentina-Georgia e l’Italia. Scrivo questo editoriale poco dopo la conclusione dell’interessantissima sfida di Gloucester del gruppo C, giocata davanti a quei 15 mila spettatori che fanno tanto ambiente all’antica, impianto d’altri tempi, atmosfera da rugby vero. Nella (netta) affermazione dei Pumas sui georgiani c’è un pezzo di storia di ciò che siamo stati, ciò in cui abbiamo mancato e ciò in cui stiamo mancando.
Ecco, in soldoni: l’Argentina è arrivata dove saremmo dovuti arrivare noi. Tramite il contatto e la contaminazione con la professionalità (e il professionismo) dei grandi movimenti dell’Emisfero Sud, i Pumas hanno migliorato il loro rugby e non solo nella garra della mischia, ma anche alla mano, nel gioco al piede, nella gestione delle situazioni. E nella maturità tattica, in particolare: i georgiani a un certo punto non ci hanno visto più, perché comunque la palla diventava argentina dopo ogni calcio di restart e anche perché la mediana albiceleste comandava le operazioni per colpire alla giugulare l’avversario, nelle sue debolezze.
Tutto ciò è stato possibile, oltre per la bravura dei singoli giocatori, grazie agli anni di Rugby Championship. Torneo che ogni anno confronta i Pumas con Australia, Sudafrica e Nuova Zelanda. Due volte a stagione: batoste memorabili, imbarcate, i primi avvicinamenti; cadere e rialzarsi, sino ai primi pareggi, le timide affermazioni, ma soprattutto una crescita visibile a occhio nudo. Ce ne eravamo accorti anche a Wembley nella sfida agli All Blacks campioni del mondo: gli argentini giocavano per giocare, in attacco e con coraggio. Non davano mai la sensazione di esser scesi in campo per una partita conservativa, alla “limitiamo i danni sperando di perdere di poco”: chiaro che per talento, esperienza e profondità la Nuova Zelanda è passata, ma per Daniel Hourcade la soddisfazione di essere andato ben oltre la sconfitta onorevole.
L’Argentina è ciò che la Georgia vorrebbe essere, praticamente. Invece: talenti d’esportazione (soprattutto nel Top 14 francese) ma gruppo poco coeso e abituato all’alta intensità del rugby internazionale d’élite. Di sicuro la Tbilisi Cup è troppo poco e il ranking autorizza i Lelos a sognare di sostituirci (o affiancarci) nel Sei Nazioni (sette?), offrendo alla IRB un ulteriore allargamento dei luoghi in cui si gioca ad alti livelli. Se contro i Pumas sono mancate profondità di rosa e capacità di reggere ad alto livello per 80′, il futuro sembra roseo: i talenti ci sono, prima o poi la federazione internazionale si accorgerà (davvero) della Georgia, nella speranza che anche a livello di club si muova qualcosa.
In mezzo alle due, per livello attuale, ci siamo noi. L’Italia: il Sei Nazioni ci ha fatto crescere ma meno del previsto, di certo meno degli argentini. Sbagliamo e perseveriamo, reiterando gli errori di sempre; non produciamo un’apertura di livello continentale che sia una, sprechiamo tante penalità calciando male, in mischia non siamo più quelli di una volta. Siamo più forti della Georgia (probabilmente) ma più che altro per la forza che il gruppo trae dai confronti annuali con Inghilterra, Irlanda, Galles, Francia e Scozia. Però non cresciamo, siamo fermi: se il Giappone ha beffato il Sudafrica e l’Argentina ha fatto sudare gli All Blacks, Francia-Italia di Londra ha finito per assomigliare in tutto e per tutto a una qualsiasi nostra trasferta del Sei Nazioni in casa di una big. Indisciplina, troppe penalità “calciabili” concesse, crollo all’ora di gioco: eterno déjà-vu.
Siamo sempre gli stessi e gli altri crescono, incalzano; non solo i mostri sacri ma anche le potenze medio forti. Proprio per questo oggi pomeriggio a Leeds, contro il Canada, c’è in palio molto più che l’onore: dobbiamo dimostrare al mondo del rugby che siamo molto più della bella cartolina dei 60 mila dell’Olimpico, che apparteniamo (almeno) al livello che sta immediatamente sotto le migliori. Altrimenti inutile illudersi e pensare ai quarti di finale; battiamo il Canada e invitiamo la Georgia a una serie di test match al meglio delle tre: questo sì che sarebbe bello, questo sì che sarebbe una sfida da dentro-fuori.